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Esteri

Perché eliminare l'Isis

Di Gianni Pardo

Se esiste un’alternativa tra combattere una guerra o evitarla, è da folli non scegliere la seconda soluzione. E comunque, se si prende in considerazione l’idea di combatterla, bisogna sapere esattamente qual è lo scopo. È questo il senso della famosa affermazione secondo cui essa è “la politica proseguita con altri mezzi”: diversamente si corre il rischio di vincere in campo e poi perdere la pace.

Ammettiamo che un Paese sia dominato da una sorta di Caligola e che si sia disposti a rovesciarlo con le armi per amore del suo popolo maltrattato, preventivando il prezzo di qualche milione di dollari e della vita di qualche centinaio di soldati. Naturalmente sarebbe una baggianata. Gli ideali umanitari non sono una ragione sufficiente per simili imprese. Ma la domanda che bisognerebbe porsi è un’altra: ammesso che il tiranno sia rovesciato, chi avrà il potere? Perché, se la storia provasse che in un modo o nell’altro quel Paese è sempre stato dominato da autocrati, liberarlo da un dato tiranno corrisponderebbe a indurre quel Paese a cercarsene un altro. Detto di passaggio: è ciò che, in un momento di demenza, non hanno previsto i francesi e gli inglesi, a proposito della Libia. Gheddafi non era il meglio, ma non era certo il peggio. Il peggio è stato l’intervento di due nobili ma irriconoscibili paesi europei, momentaneamente drogati da una incomprensibile hybris.

Se si abbattesse l’Islamic State, è estremamente improbabile che il territorio da esso attualmente occupato si volgerebbe alla democrazia. Ad andar bene tornerebbe in parte alla Siria, in parte all’Iraq, e nessuno dei due è mai stato un esempio di buon governo.

Ma per quell’intervento – se non costasse molto - ci potrebbe essere un altro motivo e per ben capirlo bisogna avere chiaro che cosa intendono per califfato le grandi folle musulmane. Esse pensano – come va ripetendo Al Baghdadi – alla rinascita del potere islamico sul mondo, ritrovando l’impulso del VII secolo d.C. Si badi, non si tratta di un delirio simile a quello del “Grande Dittatore” di Chaplin: è piuttosto qualcosa che è iscritto nell’essenza della religione musulmana.

L’Islamismo ha come dogma fondante il potere di Dio sull’intera realtà. Quando si dice “intera” si intende geograficamente che tutte le frontiere devono cadere, perché dovunque deve comandare Dio, e socialmente che non deve esserci distinzione fra politica e religione, perché deve valere solo la legge divina. Ciò spiega i proclami dei fanatici, quando parlano di occupare, conquistare e dominare Roma. Il loro programma ideale comprende effettivamente il dominio e la conversione forzata dell’intera Europa, così come, nel VII secolo, fu conquistata e convertita con la forza l’intera Africa settentrionale cristiana.

Non ci possiamo meravigliare. Anche la nostra Chiesa è teoricamente simile. Essa si proclama “apostolica”, cioè tendente all’espansione, e “cattolica”, cioè universale. La differenza è che Roma manda missionari e magari medici, mentre l’Islàm è fermo alle conquiste militari e alle conversioni forzate dell’Alto Medio Evo.

Naturalmente gli occidentali si chiedono se i fanatici non siano del tutto fuori dalla realtà, ma alcuni musulmani sono tanto pieni di rancore da arrivare agli omicidi di innocenti e quasi tutti loro sono tanto pieni di frustrazioni da aggrapparsi ai sogni più inverosimili. Pensano alla dimensione delle conquiste che seguirono la morte di Maometto, pensano agli splendori del mondo islamico in quei secoli, e vagheggiano un gratuito riscatto. Ecco perché tanti simpatizzano con il sedicente califfo di Raqqa: perché promette una riedizione di quelle conquiste e di quella civiltà. Il fatto che tutto ciò sia irrealistico è secondario.

Ma l’attrazione esercitata dall’Is è condizionata dai suoi successi. Finché esso progredisce, gli ingenui possono sperare che rappresenti il nocciolo e il seme della grande speranza. Se invece fosse spazzato via in poche settimane, come è facile fare, anche i fanatici sarebbero costretti ad accorgersi che assolutamente non hanno i mezzi per realizzare i loro progetti. E questo sarebbe esiziale per l’immagine dell’Is.

Senza dire che, nella realtà, questa operazione non sarebbe neppure necessaria. Se le grandi folle musulmane avessero buona memoria, potrebbero ricordare che nel 1967 la minuscola Israele sconfisse tutti gli Stati arabi coalizzati. Un assassino può uccidere a tradimento alcune persone, ma dal punto di vista bellico è meno di zero. Lo Stato Islamico non ha idea della differenza fra un esercito moderno e una banda di assassini e crede che basti rimettere indietro a parole non l’orologio, ma il calendario, di oltre un millennio. Una bella, dura lezione lo riporterebbe coi piedi per terra.

Una delle tragedie indotte dal credere che nel Corano ci sia scritto tutto ciò che vale la pena di sapere, è che troppi musulmani hanno un imperfetto contatto con la realtà. Al punto da prendere sul serio Al Baghdadi.

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