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Esteri
Israele, l'ambasciatore ad Affari: "Il futuro di Gaza? Scelta dei palestinesi"

L'Ambasciatore d'Israele in Italia Alon Bar ad Affari: “Il presidente Biden è un nostro ottimo amico”. Intervista 

Buongiorno signor Ambasciatore. Vengo subito al punto. Come vede la situazione bellica in Palestina?

La nostra speranza è di far progressi sui due obiettivi principali della guerra: il rilascio degli ostaggi e lo smantellamento delle capacità militari di Hamas. Benché parti considerevoli siano già state distrutte, come ha sottolineato il Primo Ministro Netanyahu, l’obiettivo richiede tempo, per cui bisogna essere pazienti e continuare.

Inoltre c’è la sfida di Hezbollah a nord di Israele, che di recente si sta presentando a volte perfino più intensa rispetto a quella nel sud. Questa minaccia tiene lo Stato di Israele in allerta. Finché Hezbollah continua a essere una minaccia per gli israeliani, tornare alla situazione antecedente al 7 ottobre sarà molto difficile. La speranza è quella che si raggiunga un cessate il fuoco nel contesto del rilascio di tutti gli ostaggi e della distruzione totale delle capacità militari di Hamas.

Come valuta la posizione politica del governo italiano sulla vicenda?

Israele ha molto apprezzato la solidarietà mostrata dal governo italiano, specialmente attraverso le dichiarazioni del premier Meloni, del vicepremier Tajani, del ministro della Difesa Crosetto e di tanti altri che hanno condannato Hamas, lo hanno riconosciuto come totalmente responsabile per l’attacco a Israele e per la situazione a Gaza, e hanno riconosciuto il diritto di Israele all’autodifesa. In particolare, Israele ha notevolmente apprezzato che il ministro degli Esteri Tajani abbia nettamente rigettato l’utilizzo del termine “genocidio” impiegato per descrivere quello che Israele sta facendo a Gaza.

Perché il Sud Africa si è mostrato così ostile nei confronti di Israele?

Non pretendo di analizzare le ragioni delle decisioni del Sud Africa. Voglio però che si convenga sul fatto che sia terribile distorcere la terminologia di uno strumento, la Convenzione sul genocidio del 1948, creata per prevenire un altro olocausto, per descrivere l’azione dello Stato di Israele a Gaza, negarne l’esistenza e il suo diritto all’autodifesa. È ancora più terribile considerando la prossimità al Giorno della Memoria. E quello che il Sud Africa sta facendo è sbagliato sia di fatto che di diritto ed è completamente inaccettabile.

Come valuta la posizione del Presidente Usa Biden su Israele?

Il Presidente Biden è un ottimo amico di Israele e il suo supporto prima e dopo l’attacco è risultato estremamente importante per la sicurezza del nostro Stato e la sua capacità di stabilire un ambiente regionale più sicuro. Ci sono ovviamente anche disaccordi. Netanyahu dice che con gli amici a volte ci sono divergenze e queste ultime in alcuni casi vanno espresse, ma alla fine io sono certo che quel che il Presidente Biden vuole è in linea con quel che noi vogliamo, e cioè rendere Hamas non più in grado di attaccare Israele e creare un ambiente sicuro e di pace nella regione. Sono altresì certo che la sua alleanza con Israele continuerà ad essere sempre molto forte.

C’è un rischio di un allargamento del conflitto all’Iran con il coinvolgimento di Hezbollah e terroristi nel Mar Rosso?

Il rischio è molto alto. Vediamo l’Iran attivo su molti fronti: incoraggia gli Houthi a lanciare missili contro Israele e bloccare il traffico marittimo nel Mar Rosso; incoraggia le organizzazioni sciite in Siria ad attaccare Israele; incoraggia Hezbollah a continuare ad attaccare Israele dal Libano. Fino ad ora, attraverso la cooperazione con l’Italia e molti altri, abbiamo cercato di rispondere a tutte queste minacce senza produrre un’accelerazione del conflitto. Tuttavia dobbiamo essere chiari: la minaccia costante di Hezbollah dal Libano, area operativa dell’Unifil, attraverso sue forze d’élite che attaccano la popolazione israeliana con missili e cercano di infiltrarsi nel nostro territorio è qualcosa con cui non possiamo convivere. Non possiamo restare nell’attesa di un secondo 7 ottobre nel nord di Israele. La nostra speranza è che, tramite il dialogo, Hezbollah ritiri le sue forze dal confine. Voglio fare notare come Hezbollah abbia delle unità d’élite che tentano di infiltrarsi in territorio israeliano, lanciano missili, spaventano la popolazione di Israele che si trova nel nord.

A questo proposito, la visita del ministro degli Affari Esteri Tajani in Libano e la conversazione del Primo Ministro Meloni con il Primo Ministro libanese sono attività diplomatiche importanti. Ma se tutto questo non funziona ci difenderemo da soli con la forza. Non sarà piacevole, ma non possiamo consentire che degli attacchi ad Israele dall’area Unifil vadano avanti.

La vicenda degli ostaggi prigionieri di Hamas può rafforzare l’opposizione interna contro Netanyahu?

Israele è un Paese democratico e quindi anche in tempo di guerra c’è un dibattito politico. In questo periodo le famiglie degli ostaggi stanno accelerando le loro richieste per una qualche forma di accordo per il rilascio degli ostaggi.

Le decisioni da prendere e le priorità da definire da parte del governo sono molto difficili. Su tutto questo e sulla questione della leadership c’è un dibattito interno. C’è però un consenso in tutto Israele su quelli che sono i due obiettivi della guerra: il rilascio degli ostaggi e la distruzione delle capacità militari di Hamas a Gaza. Il dibattito è semmai su quali siano le tattiche e le priorità da utilizzare per raggiungere questi due obiettivi. Sfortunatamente, ciò richiede più tempo di quanto previsto e questo naturalmente alimenta critiche interne.

Ambasciatore Bar, quale sarà il futuro della striscia di Gaza e della Cisgiordania?

Il futuro della Striscia di Gaza deve essere deciso dal popolo palestinese di Gaza, ma certamente è necessaria la cooperazione di Paesi arabi come l’Egitto, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti e forse anche l’Arabia Saudita con il supporto degli Stati Uniti, dell’Europa e forse delle Nazioni Unite. Israele comunque non intende continuare ad occupare la Striscia di Gaza né intende portare i palestinesi da Gaza in Egitto o altre aree, perché comprendiamo perfettamente che vogliono vivere là. Israele spera soltanto che a Gaza possa insediarsi una leadership che, in collaborazione con la Comunità internazionale, voglia ricostruire la Striscia e promuovere una vita in sicurezza ed in pace con Israele. Se questo sarà connesso alle sorti Cisgiordania, dipenderà dagli stessi palestinesi. Ad oggi, l’Autorità Palestinese (AP) non ha alcuna influenza né controllo su Gaza e nel passato non ha mostrato disponibilità a insediarsi a Gaza per istaurarvi il proprio controllo. Poiché anche in Cisgiordania il livello di controllo delle attività terroristiche è molto basso, auspichiamo un più forte impegno da parte dell’AP nel controllare le attività terroristiche contro Israele e cooperare con noi per promuovere una vita migliore e in pace tra palestinesi e israeliani. Certamente, noi vogliamo vedere una leadership palestinese disponibile a discutere di pace con Israele.

Parte della questione è legata a quella della posizione sulla soluzione a due Stati. Come sapete, su questo in Israele esiste un dibattito democratico. Una parte della leadership politica e della società israeliana supporta la soluzione a due Stati, mentre il Primo Ministro e altri ritengono che, in questa fase -ma non si esclude che nel futuro le cose vadano diversamente-, tale soluzione non sia un’opzione perché rappresenterebbe una minaccia per Israele, che perderebbe il controllo sulla propria sicurezza. Immaginate se Hamas vincesse le elezioni nel supposto Stato palestinese e ci ritrovassimo con lo Stato di Hamas accanto ad Israele: quest’ultimo costituirebbe una minaccia che non potremmo accettare. Questo momento, in cui le tensioni tra i due popoli sono molto forti, non è certamente quello opportuno per discutere della soluzione permanente. Per cui ora dibattiamo sui progressi nel creare un ambiente diverso nella nostra regione, e poi discuteremo una soluzione permanente con i nostri amici palestinesi e con i nostri vicini. Anche i sostenitori della soluzione a due Stati, del resto, ritengono che bisogna prima innescare un processo politico che crei le condizioni per i negoziati.

Israele ha un piano per la pace?

Non so se ad oggi abbiamo un piano di pace dettagliato e completo perché in questo momento tutto dipende dal nostro successo nel riuscire a creare a Gaza un ambiente sicuro, dove Hamas non ha più influenza. Quello di cui però sono certo è che ci sono una volontà e una disponibilità in Israele a discutere di soluzioni future, e anche un riconoscimento dell’importanza della necessità di discutere di questo piano di pace, ma in questo momento è presto per parlarne perché siamo impegnati ancora nella guerra e nel riportare a casa gli ostaggi. Non dimentichiamo che ci sono oltre 130 ostaggi che da oltre cento giorni vengono torturati, violentati sessualmente e affamati da Hamas: la priorità è quindi salvarli.

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