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Esteri
Proteste in Polonia, rinviata la legge per le limitazioni sull’aborto

Tra i vari diritti sanciti dalle Carte Costituzionali del mondo libero ce n’è uno, quello di scelta, che è il maggior simbolo di cosa significhi libertà individuale.

Nell’Unione Europea accade che il 22 Ottobre 2020, la Corte Costituzionale polacca sancisca che l’aborto per gravi motivi di malformazione del feto sia incostituzionale. L’organo collegiale si è così espresso dopo che circa 119 parlamentari, soprattutto del partito Diritto e Giustizia, ma anche dell’estrema destra di Konfederacja e del gruppo centrista Psl-Kukiz’15, avevano sostenuto che la decisione di interrompere la gravidanza per malformazione violasse il principio della Costituzione Polacca che difende la vita di ogni individuo.

Del maggior partito promotore di questa campagna, Diritto e Giustizia (PiS), fanno parte il capo del governo polacco dal 2015, Mateusz Morawiecki, e il presidente della Polonia, Andrzey Duda, entrambi ultraconservatori e ultracattolici.

Ad oggi, grazie alle proteste che si sono accese in tutto il Paese è stata rinviata la traduzione in legge della sentenza della Corte Costituzionale, non ancora pubblicata in gazzetta ufficiale e prevista per il 2 novembre. Ma il PiS ha già annunciato misure maggiormente restrittive, con delle proposte che verranno annunciate il 18 novembre direttamente in Parlamento.

La storia della legge sull'aborto in Polonia

Le limitazioni in materia di aborto in Polonia, considerata una delle Nazioni con le norme più severe d’Europa, esistono già da quando è entrata in vigore nel 1993 la legge che regola questa pratica. Dagli anni Novanta, in terra polacca, tre sono i motivi per i quali è concesso l’aborto: malformazione del feto, pericolo di vita per la madre e stupro o incesto.

Prima che quest’anno la Corte annunciasse la validità della proposta di legge, già vi erano stati due tentativi per introdurre ulteriori restrizioni: nel 2016, frenate dalle “proteste in nero” (Czarny Protest) quando le donne polacche, sostenute da molte altre nel mondo, avevano organizzato enormi mobilitazioni vestite di nero e ad aprile di questo stesso anno quando il partito di maggioranza, Diritto e Giustizia, con il favore di molti gruppi religiosi, aveva già provato ad introdurre questo divieto con una proposta poi rimandata in commissione, sempre grazie alle reazioni di gruppi femministi.

Le proteste, sempre pacifiche, che si sono susseguite in questi anni hanno cercato di arginare il maremoto che potrebbe soffocare il diritto alla libera scelta. Marta Lempart, personaggio di spicco dell'organizzazione femminile "Lo sciopero delle donne" promotore della grande manifestazione non violenta nelle strade di Varsavia il 30 Ottobre, chiarisce quale è la posizione delle decine di migliaia di persone che sono scese in piazza in questi giorni nelle maggiori città del Paese: "Vogliamo una Polonia libera, dove valgano i diritti umani”.

I numeri inerenti all’aborto descrivo bene il Paese nazionalista, ultracattolico e conservatore: le donne che ogni anno sono costrette a ricorrere all’interruzione di gravidanza clandestina o a recarsi all’estero, particolarmente in Slovacchia, Repubblica Ceca, Germani o Ucraina, per poterla praticare legalmente sono tra 100mila e 200mila. Secondo quanto riportato dalle associazioni femministe, quest’anno sono stati effettuati 1.110 aborti legali, di cui 1.074 legati a malformazioni: quasi il 90% degli aborti sono da associare a malattie letali e alterazioni genetiche del feto.

Chi ha partecipato alle proteste

Allo slogan di “vogliamo poter scegliere, non vogliamo il terrore”, il dissenso alle politiche fortemente limitanti in materia ha reso possibile che le piazze si riempissero. Ma non solo di donne. Oltre ai gruppi femministi, gli studenti, le organizzazioni per i diritti LGBT+, vi era tutta la società civile con la presenza anche di tassisti e contadini, considerati usualmente conservatori. Si hanno notizie anche di squadristi di estrema destra che hanno manifestato con tutti gli altri al grido “siamo contro i gay, ma non contro le donne”, così come di poliziotti che pronunciavano frasi di consenso durante la sorveglianza dei cortei. Da Varsavia, a Poznan, a Breslavia, a Stettino, a Katowice, a Cracovia, in oltre 100 città le strade si sono gremite per ricordare che il sopruso sul corpo di un altro essere umano non è tollerabile nel 21esimo secolo. La cattolicissima Polonia si è riunita per “pregare per il diritto di abortire” con l’appoggio di esponenti come la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che si è schierata con loro dichiarando: "Nella Ue sui diritti delle donne non si arretra".

E se dal governo “nessuno si aspettava simili proteste”, considerate dal premier Mateusz Morawiecki “atti di barbarie, violenze e aggressioni” tanto da richiedere l’intervento dell’esercito per “difendere la Polonia”, l’organizzazione “Sciopero delle donne” non arretra e non si lascia intimidire. Con l’aiuto del Consiglio delle consultazioni, ha presentato un elenco di 13 richieste tra le quali compaiono non solo la libertà di abortire, ma anche la necessità di uno stato laico, il rispetto per i diritti delle donne e delle comunità lgbt.

Perché se è vero che in ogni società molte decisioni del singolo incidono sulla vita collettiva, sulla scelta dei governi o sui cambiamenti climatici, altre riguardano solo chi sceglie di metterle in pratica.

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