Ucraina, Massolo: "Trump sta rischiando la sua reputazione di mediatore. Così Putin lo sta mettendo alle strette". E su Gaza... - Affaritaliani.it

Esteri

Ultimo aggiornamento: 19:31

Ucraina, Massolo: "Trump sta rischiando la sua reputazione di mediatore. Così Putin lo sta mettendo alle strette". E su Gaza...

Il presidente di Mundys analizza gli scenari globali: “Putin non vuole negoziare, conta sul logoramento dell’Occidente. La Flottilla? Se si accetta il rischio, l’obiettivo non è solo umanitario”

di Federica Leccese

Massolo: “Se Hamas non accetta il piano? Proseguirà senza sosta l’opzione militare a Gaza”

Lo sterminio dei palestinesi a Gaza, la guerra tra Russia e Ucraina, le crescenti preoccupazioni per chi si trova a bordo della Flotilla. Insomma, ci troviamo di fronte ad uno scenario internazionale sempre più intricato e drammatico.

Trump riuscirà con il suo piano a porre fine al conflitto israelo-palestinese? È realistico immaginare un dialogo tra Putin e Zelensky? E quali sono i reali obiettivi della Flotilla? A fare chiarezza l'ambasciatore e presidente di Mundys Giampiero Massolo, che ad Affaritaliani ha offerto una lettura chiara degli equilibri attuali e degli sviluppi più probabili nel breve periodo.

Trump ha detto che, se Hamas non accetterà l’accordo, “espierà all’inferno”. Cosa significa in concreto questa minaccia? Come pensa reagiranno gli Stati Uniti di fronte a un eventuale rifiuto di Hamas?

“Darebbe mano libera a Netanyahu per perseguire la soluzione militare a Gaza, con due obiettivi: liberare gli ostaggi e ottenere la sconfitta militare completa di Hamas. Al contrario, ciò che Trump ha proposto - e che è stato condiviso da un numero rilevante di paesi arabi moderati, appoggiato dall’Unione Europea, e persino da Russia e Cina - è una soluzione di tipo negoziale e compromissoria. È su questa base che sono nate le pressioni, da parte dei paesi arabi (che sono in una posizione privilegiata per farlo), affinché Hamas accetti”.

Il capo del Pentagono ha dichiarato: “Il nostro compito è prepararci alla guerra e vincerla”. Cosa ci indica questa affermazione sulle reali intenzioni e strategie degli Stati Uniti?

“Credo che quella riunione con i vertici militari sia stata la traduzione, in linguaggio militare, della campagna elettorale di Trump e dell’ideologia MAGA. È stata una riunione politica, in cui si è detto: ‘È finita l’era del politicamente corretto. Se servirà usare lo strumento militare, lo useremo. Bisogna essere pronti a farlo’. È stata quindi una manifestazione politica, un'esplicitazione della dottrina di Trump e di chi lo sostiene su questa linea.

Ovviamente non sono mancati anche risvolti operativi: il messaggio è stato indirizzato agli avversari degli Stati Uniti — in primo luogo alla Cina — ma questo non significa affatto che gli Stati Uniti si stiano preparando concretamente a una guerra”.

Il piano di Trump prevede la smilitarizzazione di Hamas e un’amministrazione esterna. Ora Hamas ha chiesto modifiche su punti chiave come disarmo, esilio della leadership e ritiro completo dell’IDF. Si riuscirà a trovare un punto di incontro tra le parti, e dunque una definitiva pace?

“Una delle difficoltà principali — tra le tante, ovviamente — è che il negoziato portato avanti dai mediatori avviene con interlocutori di Hamas non ben definiti. O, per meglio dire, la cui reale rappresentatività non è chiara, perché molti dei leader di Hamas sono stati uccisi. Non sappiamo quindi quanto queste posizioni siano effettivamente rappresentative.

Ciò detto, trattandosi di un negoziato, era prevedibile che Hamas — o chi oggi la rappresenta — non potesse accettare una proposta complessiva senza richiedere modifiche. Resta da vedere quanto tempo richiederanno queste trattative e se le modifiche proposte saranno accettabili per le controparti. La novità, però, è che oggi le controparti non sono più solo Israele, ma anche i paesi arabi moderati”.

Trump sostiene di aver risolto sette guerre in nove mesi e ora punta a un incontro tra Putin e Zelensky per la pace in Ucraina. Quanto è realistica questa sua affermazione e quali ostacoli vede sul percorso verso una mediazione efficace?

“L’ostacolo principale è che Putin non vuole negoziare seriamente. Ritiene che il passare del tempo giochi a suo favore, perché accadono tre cose: si erodono le posizioni ucraine sul terreno, si approfondisce il divario tra un Trump sempre più spazientito e i paesi europei, e all’interno dell’Europa aumentano le inquietudini delle opinioni pubbliche verso i propri governi.

Questo rafforza in Putin la convinzione che ‘chi la dura la vince’ e che possa quindi trarre vantaggio dal perseguimento dei suoi obiettivi — che non sono mai cambiati dall’inizio della guerra — approfittando dello sfaldamento del fronte occidentale e del morale ucraino.

Trump, che in campagna elettorale aveva promesso di risolvere il conflitto o almeno di fermare i combattimenti, si trova ora incalzato dal tempo: col passare delle settimane diventa evidente che, nei confronti di Putin, sta mettendo a rischio la sua reputazione di mediatore — alla quale tiene moltissimo.

Questo provoca qualche movimento, non ancora un affondo sul fronte delle sanzioni, come vorrebbe l’Europa, ma per esempio una riflessione favorevole sulla fornitura di missili Tomahawk agli ucraini: missili a lungo raggio, potenzialmente impiegabili anche sul territorio russo. Sarebbe una novità per l’amministrazione americana. In altri termini, il ragionamento di Trump è sempre più: ‘Putin deve capire che il tempo che passa potrebbe non favorirlo, ma costargli caro’. Ed è questo lo stadio in cui ci troviamo, anche se non lascia intravedere uno sbocco a breve termine”.

Come legge l’avvicinamento della Flotilla a Israele e le parole della premier Meloni, che ha definito “irresponsabile” insistere?

“Bisogna capire quale sia l’obiettivo. Se si tratta di un gesto simbolico a favore della pace e della cessazione della guerra sulla Striscia di Gaza, o se si vuole concretamente alleviare le difficili condizioni della popolazione portando aiuti umanitari, allora si può agire senza esporsi a conseguenze potenzialmente tragiche. Esistono molte strade per farlo: ad esempio, la mediazione del patriarcato latino di Gerusalemme, che si è detto disponibile a far arrivare gli aiuti a destinazione.

Se l’idea è quella di aiutare i palestinesi e al tempo stesso fare un punto politico, è comunque possibile farlo senza mettere a repentaglio la propria incolumità. Se invece si sceglie consapevolmente di esporsi a rischi gravi, allora significa che gli obiettivi sono altri”.

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