Migranti climatici in fuga dalla crisi: uno sguardo verso l'Asia meridionale
Non solo Africa e America centrale, eventi estremi e migrazioni colpiscono anche l’Asia. Un “punto caldo del cambiamento climatico" tra vulnerabilità e povertà
Secondo i dati dell’IDMC (Internal Displacement Monitoring Centre), nel 2019 i nuovi spostamenti associati ai disastri naturali sono stati 9,5 milioni, ovvero il 30% del totale globale: la cifra più alta dal 2012. Nel settimo anno più caldo dal 1901 e con la stagione monsonica più piovosa degli ultimi 25 anni- a essere colpita violentemente è l’India, che ha registrato cinque milioni di sfollati. Tutte queste condizioni- secondo il Centro di monitoraggio- hanno contribuito ad alimentare la distruttiva potenza delle otto tempeste tropicali che hanno colpito il paese.
Ma se da un lato il 2019 ha generato numeri record, dall’altro il 2020 non è stato da meno. Un banco di prova fondamentale che ha visto l’affronto di due grandi crisi sempre più correlate: climatica e sanitaria. Tra gli eventi estremi più recenti va ricordato il ciclone Amphan che nel maggio scorso si è abbattuto su India e Bangladesh, causando oltre 80 morti. Per il capo dello stato federato Mamata Barnerjee non si era “mai visto un disastro di queste dimensioni", con più di 5.500 abitazioni andate distrutte nello Stato indiano del Bengala occidentale. Dalla fine di maggio a luglio i monsoni hanno colpito senza tregua i campi di India, Bangladesh e Nepal, generando 4 milioni sfollati e oltre 200 vittime. Si tratta di fenomeni ciclici, ma sempre più irregolari, causati sia dai cambi climatici che da un insieme di fattori umani.
O ancora, sempre in estate, la stagione delle piogge ha messo in ginocchio il Pakistan, causando almeno novanta vittime. Secondo la protezione civile pakistana, almeno un migliaio di case sono state danneggiate e decine e decine di veicoli rimasti sommersi dall’acqua. E infine, spostandoci nel Sudest asiatico, in Cambogia, solo qualche mese fa le strade sono diventate letteralmente dei “fiumi”, a causa di una violenta alluvione che ha provocato undici morti e centinaia di sfollati.
Un’istantanea (parziale) del caos climatico e umanitario che contraddistingue e circoscrive l’area, alla quale si è aggiunta una terza emergenza dovuta alla pandemia. Secondo alcune previsioni, se non vi sarà alcuna azione di mitigazione di tipo sociale, economico e ambientale, le migrazioni interne in Asia meridionale saranno destinate ad aumentare. Dai 40 milioni di migranti attuali, ovvero l'1,8% della popolazione della regione, si potrebbe arrivare fino a un 25% in più nell’arco di trent’anni.
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