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Riforma pensioni 2023: le ultime news da sapere Una delle riforme più attese
(foto Ipa)

Una delle riforme più attese tra quelle messe in agenda dal nuovo governo per il momento è costretta a slittare. Inizialmente prevista all’interno della finanziaria approvata sul finire del 2022, la riforma pensioni 2023 è stata al momento congelata e sostituita da alcuni accorgimenti sperimentali e piccole proroghe. L'obiettivo è rinviare ogni discorso all'anno in corso, per evitare che la fretta possa dar vita a una riforma monca o non del tutto in linea con i principi proposti dal partito di maggioranza al governo. Attualmente possiamo dunque dire che una riforma pensioni in grado di revisionare il sistema previdenziale in toto, dopo le prime novità già introdotte, è prevista entro il biennio 2023-2024. 
Ma qual è la volontà del nuovo esecutivo? Creare una riforma che sia basata sul sistema contributivo, per evitare distorsioni, ad esempio quella degli esodati, che hanno avuto conseguenze economiche e sociali non positive per il nostro paese.
In attesa di ulteriori novità, approfondiamo dunque quali sono le principali criticità che verranno affrontate dal Governo su questa tematica da sempre molto delicata.

 

Indice degli argomenti:

Cosa cambia con la riforma delle pensioni del governo Meloni

Attualmente, come abbiamo già sottolineato, una riforma pensioni concreta e profonda non è ancora avvenuta. Sono stati però già introdotti alcuni accorgimenti, delle misure sperimentali per porre rimedio ad alcuni dei principali “guasti” del precedente sistema pensionistico.
In particolare, sono state introdotte, con la Legge di Bilancio, Quota 103 (che sta per 62+41 e indica la Quota 41 ibrida), una proroga di Opzione Donna e APE Sociale, mentre è stato abolito lo scivolo pensione PMI a 62 anni per dipendenti di imprese in crisi. 
Misure dunque tampone, per poter arrivare a una riforma pensioni Meloni, probabilmente nel 2024, che sia condivisa dalla maggioranza. Il tutto con l'obiettivo di garantire un'uscita dal mondo del lavoro flessibile e graduale, con un occhio di riguardo anche ai giovani e alla loro esigenza di entrare stabilmente nel mondo del lavoro, per cercare di evitare atavici problemi come carriere discontinue, salari bassi e ripercussioni negative sulle future pensioni.
Siamo dunque in una fase ipotetica, in cui è impossibile prevedere cosa verrà effettivamente realizzato e cosa rimarrà solo una bozza di progetto nei piani del governo guidato da Fratelli d'Italia. Cerchiamo però di individuare le principali novità attualmente sul tavolo.

Approfondisci anche:

Legge 104: cos’è e come funziona

 

Cosa significa sistema contributivo

Abbiamo accennato, poco fa, alla volontà del governo di confermare l'attuale sistema pensionistico come un sistema contributivo. Cosa significa? Renderlo un sistema basato esclusivamente sui contributi effettivamente versati da ogni lavoratore. Il sistema contributivo prevede che la pensione venga calcolata sommando i contributi versati durante l'intera vita lavorativa e moltiplicandoli per la variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, determinata dall'ISTAT. Detto in altri termini, il sistema contributivo prevede che i contributi vengano rivalutati secondo un numero che si ottiene dalla media del Pil degli ultimi cinque anni. La somma ottenuta viene chiamata “montante finale” e va moltiplicata per un “coefficiente di trasformazione”, ossia una percentuale calcolata in base all'aspettativa di vita della generazione cui appartiene il lavoratore. Alla base di questo meccanismo, che può sembrare complesso, ma non lo è, c'è la volontà di fare in modo che l'individuo che ha versato di più possa ottenere una pensione maggiore rispetto a colui che ha invece versato di meno.
Per dare una definizione più generale, un sistema pensionistico contributivo è un sistema di previdenza sociale in cui i contributi previdenziali versati dai lavoratori durante la loro vita lavorativa sono utilizzati per finanziare le pensioni dei lavoratori che andranno in pensione. In questo sistema, la pensione percepita dal lavoratore è proporzionale al numero di anni di contributi versati e all'importo dei contributi stessi. Ciò significa che più contributi si versano e più a lungo si lavora, maggiore sarà la pensione percepita.
Un sistema retributivo, invece, è un sistema di previdenza sociale in cui la pensione percepita dal lavoratore è proporzionale alla retribuzione percepita durante la vita lavorativa. In altre parole, più si guadagna e più a lungo si lavora, maggiore sarà la pensione percepita. In questo sistema, i contributi previdenziali non sono direttamente collegati alla pensione percepita, ma servono a finanziare il sistema stesso e garantire la sostenibilità delle future pensioni.

Riforma pensioni 2024: cosa prevede

Chiarita la distinzione tra retributivo e contributivo, vediamo quali sono le effettive misure sul tavolo del governo per la prossima riforme.
Partiamo da Pensione Quota 41 secca, una proposta avanzata dai sindacati. Questa misura prevede una pensione anticipata con 41 anni di contributi versati, senza calcolo dell'assegno. Questa soluzione, per i sindacati, dovrebbe essere valida per tutti, senza alcun limite di età e categoria. Difficilmente il Governo potrà però accettarla, ed è quindi possibile un compromesso per renderla fattibile almeno per determinate categorie di lavoratori.
Nel 2023 verrà intanto adottata la Quota 41 ibrida, che prevede accesso alla pensione a 62 anni (ma il requisito anagrafico sarà in futuro eliminato). Non c'è stata e non dovrebbe esserci alcuna Riforma per le pensioni precoci, che prevedono 41 anni di contributi senza soglia anagrafica.
Altra possibile novità è la proposta, avanzata dal Governo, di pensione a 64 anni con ricalcolo contributivo. Ribattezzata Opzione Uomo (in quanto molto simile a Opzione Donna) prevede in sostanza una pensione anticipata rinunciando alla quota maturata con sistema retributivo e con un ricalcolo della pensione cui si ha diritto attraverso gli strumenti del metodo contributivo.
In alternativa, il Governo ha ipotizzato anche una pensione a 64 anni con assegno previdenziale maturato pari ad almeno 2,8 volte l'assegno sociale o a una pensione a 64 anni e 36 di contributi, senza alcun limite sul valore dell'assegno.
C'è poi da valutare la pensione con anticipo quota contributiva proposta dall'INPS. Attraverso questa proposta si potrebbe accedere prima solo alla quota contributiva della pensione, mentre la quota retributiva si prenderebbe solo al momento dell'arrivo all'età per la pensione di vecchiaia.
Se dunque ti stai chiedendo “quando potrò andare in pensione con la nuova riforma”, purtroppo per avere risposta dovrai ancora aspettare le ulteriori novità, oppure potrai calcolare la tua situazione tenendo a mente l'attuale panoramica previdenziale in Italia.

Pensioni in Italia oggi: tutti i tipi

Prima di vedere nel dettaglio requisiti e funzionamento delle principali tipologie di pensione attualmente previste dal nostro ordinamento previdenziale, in attesa di conoscere gli altri dettagli della Riforma Pensioni 2023, è utile cercare di mettere ordine facendo un quadro generale su quali sono le pensioni possibili in Italia in questo momento. 
I due macrogruppi principali sono quelli delle pensioni di vecchiaia e delle pensioni anticipate (ai quali vanno aggiunti altri gruppi importanti, ma di differente natura, come quelli delle pensioni ai superstiti, assistenziali, privilegiate o supplementari/complementari).
In particolare, rientrano nel gruppo delle pensioni di vecchiaia la pensione di vecchiaia “standard” e quella contributiva. Fanno invece parte del gruppo di quelle anticipate, per il momento:

    −    la pensione anticipata ordinaria;
    −    Opzione Donna;
    −    Quota 103;
    −    Quota 102;
    −    Ape Sociale;
    −    Quota 41 precoci;
    −    pensione per lavori usuranti;
    −    pensione anticipata contributiva.

Vediamo adesso quali sono i requisiti di accesso e le differenze tra queste tipologie. La pensione di vecchiaia spetta a tutti i lavoratori al compimento del 67esimo anno di età in presenza di almeno 20 anni di contributi. Quella contributiva spetta invece al compimento di 71 anni con almeno 5 anni di contributi versati dal 1° gennaio 1996.
La pensione anticipata ordinaria spetta a uomini e donne, a prescindere dell'età, al raggiungimento rispettivamente di 42 anni e 10 mesi di contributi e 41 anni e 10 mesi.
Una delle novità del 2023 è Quota 103, una tipologia di pensione anticipata che permette l'uscita dal mondo del lavoro al raggiungimento di 62 anni di età con almeno 41 di contributi. Si tratta di una misura che sostituirà Quota 102 (ancora attiva nell'anno in corso), che prevedeva invece 64 anni di età e 38 di contributi raggiunti entro il 31 dicembre 2022.
Opzione Donna, al centro di un dibattito che potrebbe portare ad alcune modifiche, permette di andare in pensione a 58-59 anni con 35 anni di contributi versati.
L'APE Sociale si rivolge invece a determinate categorie (caregiver, disoccupati, invalidi civili e lavoratori impiegati in mansioni usuranti) e può essere attivata al raggiungimento dei 63 anni con contributi versati che vanno dai 30 ai 36 anni.
Quota 41 è invece l'opzione per i lavoratori precoci, ovvero coloro che raggiungono 41 anni di contributi, a prescindere dall'età, con almeno uno versato prima dei 19 anni.
La pensione per lavori usuranti è accessibile, solo per determinate categorie di lavoratori, all'età di 61 anni e 7 mesi con almeno 35 di contributi. Infine, la pensione anticipata contributiva può essere attivata dai lavoratori con 64 anni d'età e almeno 20 di contributi, ma solo nel caso che questi siano stati versati dopo il 1° gennaio 1996 e che l'assegno maturato sia pari a 2,8 volte l'importo dell'assegno sociale.
Se quindi ti stai domandando “quanti anni di contributi per andare in pensione nel 2023”, per trovare una risposta dovrai indagare sulla tua situazione e tenere a mente tutti i parametri previsti dalle varie misure pensionistiche oggi attive nel nostro paese.

Pensione anticipata donne quota 41: cos'è e cosa prevede

La pensione anticipata al momento non prevede distinzioni tra lavoratori e lavoratrici, se non per un breve periodo di contributi (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne), se si esclude la già citata Opzione Donna. Si tratta di una misura valida per i lavoratori precoci (lavoratori che abbiano lavorato per almeno 12 mesi effettivi, anche non contributivi, prima dei 19 anni, maturando l'anzianità contributiva necessaria al 31 dicembre 1995) che, rispondendo ad alcuni requisiti, hanno la possibilità di andare in pensione anticipata con la Quota 41, al momento fino al 31 dicembre 2026, senza limiti di età ma rientrando in una delle categorie con diritto all'APE Sociale.

Requisiti accesso pensione anticipata quota 41

I requisiti richiesti per poter accedere alla pensione anticipata, di fatto, limitano tale opzione solo a determinate categorie di lavoratori. In particolare:

    −    i dipendenti disoccupati a causa di un licenziamento (individuale o collettivo) per giusta causa, o risoluzione consensuale, che abbiano però terminato da almeno tre mesi la fruizione della disoccupazione (NASPI) o di altre indennità;
    −    i caregiver, dipendenti ed autonomi che al momento della domanda assistono per almeno 6 mesi un parente di primo grado convivente, o il proprio coniuge, con handicap;
    −    lavoratori dipendenti e autonomi con una percentuale di invalidità civile superiore o uguale al 74%;
    −    addetti a lavori usuranti o gravosi, che devono essere stati svolti almeno sette anni negli ultimi dieci anni di attività (come indicato in una legge del 2011 e, con aggiunta, nella Legge di Bilancio 2017).

Cos'è l'APE Sociale

Con questa sigla si indica l'anticipo della pensione, a carico dello Stato, erogato dall'INPS alle persone che rientrano in specifiche categorie. Queste persone possono andare in pensione a 63 anni, al sussistere di condizioni particolari.
Si tratta di una sorta di ponte tra il riconoscimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata.
Le categorie che possono richiedere l'anticipo sono quelle sopra elencate. In particolare, per quanto riguarda le professioni usuranti o gravose, troviamo le seguenti mansioni:

    −    professori di scuola primaria, pre-primaria e professioni assimilate;
    −    tecnici della salute;
    −    addetti alla gestione dei magazzini e professioni assimilate;
    −    professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali;
    −    operatori della cura estetica;
    −    professioni qualificate nei servizi personali ed assimilati;
    −    artigiani, operai specializzati, agricoltori;
    −    conduttori di impianti e macchinari di vario genere (per l'estrazione e il primo trattamento dei minerali, per la trasformazione e lavorazione a caldo dei metalli, per la trasformazione del legno e la fabbricazione della carta per la raffinazione del gas e dei prodotti petroliferi, per la chimica di base e la chimica fine e per la fabbricazione di prodotti derivati dalla chimica, per la produzione di energia termica e di vapore, il recupero dei rifiuti, il trattamento e la distribuzione delle acque);
    −    conduttori di mulini e impastatrici;
    −    conduttori di forni e di analoghi impianti per il trattamento termico dei minerali;
    −    operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie;
    −    operatori di macchinari fissi nei settori agricoli e dell'industria alimentare;
    −    conduttori di veicoli, di macchine mobili e di sollevamento;
    −    personale non qualificato addetto allo spostamento e alla consegna merci;
    −    personale non qualificato nei servizi di pulizia;
    −    portantini e professioni assimilate;
    −    professioni non qualificate nell'agricoltura, nella manutenzione del verde, nell'allevamento, nella silvicoltura e nella pesca;
    −    professioni non qualificate nella manifattura, nell'estrazione di minerali e nelle costruzioni.

Altre categorie di lavoratori, come operai edili, ceramisti, conduttori di impianti di per la formatura di articoli in ceramica e terracotta vedono ridotto il requisito contributivo, invece, a 32 anni.
Anche le lavoratrici madri godono di un requisito minimo contributivo ridotto di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due.
L'importo mensile dell'anticipo pensionistico non può superare i 1500 euro mensili. 
La manovra 2023 ha stabilito una proroga di tale agevolazione per altri sei anni, stanziando le risorse per poterla sostenere fino al 2028.

Pensione anticipata uomini quota 42: cos’e e cosa prevede

Nell'attuale ordinamento previdenziale, come abbiamo visto in continua evoluzione, non esiste un'opzione ribattezzata Quota 42. Si tratta in effetti di una semplificazione che serve a indicare la pensione anticipata per gli uomini, che al momento può essere ottenuta con 42 anni e 10 mesi di contributi versati. Per quanto riguarda le informazioni relative ai requisiti di accesso alla pensione anticipata “Quota 42”, non c'è quindi alcuna differenza con quelli già elencati per Quota 41.

Come richiedere pensione anticipata

Con pensione anticipata si intende un trattamento pensionistico che consente ai lavoratori di conseguire l'assegno prima di aver compiuto l'età prevista per la pensione di vecchiaia, previo versamento dei contributi necessari. 
Tale soluzione, prevista per gli iscritti all'Assicurazione generale obbligatoria (inclusi Fondo pensioni lavoratori dipendenti e Gestioni speciali per i lavoratori autonomi), alla Gestione Separata INPS, alle forme sostitutive dell'AGO e la Gestione sport e spettacolo, alle forme esclusive dell'AGO, come la gestione dei dipendenti pubblici, può essere richiesta, al raggiungimento dei requisiti minimi necessari, elencati in un'apposita sezione del sito ufficiale dell'Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, attraverso diverse modalità.
La domanda di pensione anticipata può essere presentata sia online attraverso l'apposito servizio dell'INPS, sia attraverso il contact center, chiamando al numero 803 164 (da rete fissa) o 06 164 164 (da rete mobile), o rivolgendosi a enti di patronato e intermediari.
Pensione da Quota 102 a 103: come funziona e chi può richiederla

Tra le altre misure per la pensione anticipata, nel 2023 è stata introdotta la possibilità di poter richiedere il pensionamento anche con Quota sia 102 che 103, due strumenti che hanno definitivamente mandato in soffitta la vecchia Quota 100. Conosciamoli più da vicino.
Richiedibile solo se si sono maturati i requisiti entro il 31 dicembre 2022, Quota 102 prevedeva un'età anagrafica di almeno 64 anni e contributi versati per almeno 38 anni. Può invece essere richiesta Quota 103 se si raggiungono entro il 31 dicembre 2023 i 62 anni di età anagrafica e 41 anni di contributi versati.
Si tratta di una misura che si rivolge ai nati tra il 1960 e il 1961 che fanno parte delle categorie dei dipendenti pubblici, privati, lavoratori autonomi o parasubordinati. Come già accaduto per la 102, anche la 103 non si ottiene però immediatamente, dopo aver raggiunti i requisiti. Bisogna attendere un periodo per la liquidazione della prestazione, la cosiddetta “finestra”, che può essere anche successiva alla fine dell'anno in corso.
A rendere queste due misure, sia la precedente che l'attuale, differenti rispetto a quelle dell'APE Sociale o alle altre che abbiamo presentato prima è che sono praticamente accessibili a tutti i lavoratori.

Pensioni 2023: gli aumenti

Sul finire del 2022 il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha firmato un decreto che dispone, dal 1° gennaio 2023, un adeguamento delle pensioni. Tale adeguamento, che sta avvenendo progressivamente, è pari al 7,3%.
Si tratta di un aumento calcolato sulla base della variazione percentuale che si è verificata negli indici dei prezzi al consumo, già previsto dalla normativa vigente. Con l'aumento dell'inflazione, vengono adeguate anche le pensioni per andare incontro alle esigenze degli ex lavoratori.
Tenendo conto della normativa vigente, ricordiamo che:

    −    la rivalutazione viene attribuita sulla base del cosiddetto cumulo perequativo;
    −    la perequazione non si applica per intero su tutti gli assegni, ma con un meccanismo progressivo che prevedeva tre scaglioni fino al 2022 e che con la Manovra 2023 è passato a sei scaglioni.

I precedenti scaglioni dividevano gli importi al 100%, 90% e 75%. Con la nuova risoluzione del governo si passa a scaglioni del 100%, 85%, 53% 47%, 37% e 32%, diventando più redditizia per chi gode di una pensione minore.
In particolare, quindi, nel periodo 2023/24:

    −    la rivalutazione automatica è riconosciuta al 100% per i trattamenti pari o inferiori a quattro volte il minimo INPS;
    −    scende all'85% per i trattamenti di importo pari o inferiore a cinque volte il minimo INPS;
    −    passa al 53% per i trattamenti superiori a cinque volte il trattamento INPS e pari o inferiori a sei volte il medesimo;
    −    scende ancora al 47% per i trattamenti superiori a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori ad otto volte lo stesso;
    −    arriva al 37% per i trattamenti superiori a otto volte il minimo INPS e pari o inferiori a dieci volte il medesimo;
    −    infine arriva al 32% per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a dieci volte il trattamento minimo INPS.

Tradotto in concreto, tale aumento porterà, nei prossimi mesi, le pensioni minime ad aumentare di circa 46 euro netti in più, e le altre a salire tenendo conto della percentuale prevista dalla perequazione. Inoltre le pensioni minime sono destinate a salire dell'1,5% nel 2023 e del 2,7% nel 2024.

Pensione 2023: quando viene pagata

Sono già state stabilite le date per il pagamento delle pensioni nel corso del 2023. Il calendario prevede che tutti i pagamenti saranno effettuati il primo del mese, con l'eccezione di maggio, ottobre e novembre. Il 1° del mese, in questo caso, cade infatti in un giorno festivo (Primo Maggio, domenica 1° ottobre e Ognissanti). Per questo motivo, le tre mensilità in questione verranno versate il giorno 2. Da sottolineare anche che, per i mesi di aprile e luglio, il primo giorno bancabile sarà differente per Poste Italiane e Istituti di credito: nel primo caso sarà il giorno 1 (un sabato), nel secondo caso si slitterà al 3 (il lunedì successivo).
La mensilità di gennaio è stata invece pagata nel secondo giorno bancabile, il 3 gennaio, sia con Poste che con gli Istituti di credito.
 

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