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Don Davide Banzato: “Tutto ma prete mai”, tra Dio-incidenze e pro-vocazioni

La vocazione l’ha sentita presto e presto è entrato in seminario, luogo amato e odiato da cui è scappato, perdendosi tra amicizie sbagliate, alcool, relazioni amorose ed egoismi. Una strada verso l’errore? Tutt’altro: quella che don Davide Banzato racconta in questo libro-confessione è la strada che ha percorso per trovare sé stesso e il proprio posto nel mondo. Un cammino verso la felicità che augura a tutti di intraprendere, magari aiutandosi con questa bussola: Tutto ma prete mai, edito da Piemme, 304 pagine di riflessioni, consigli, incoraggiamenti e ironia, che rendono la lettura piacevole davvero per tutti, credenti e non. Don Davide la sua strada l’ha trovata anche grazie a Chiara Amirante e la sua comunità, Nuovi Orizzonti, di cui oggi è assistente spirituale generale. Affaritaliani.it l’ha intervistato per parlare di questo, del suo nuovo libro e della chiesa oggi.

Tutto ma prete mai, un titolo che dice già molto sui paradossi e le contraddizioni da affrontare nella vita per trovare sé stessi. Come nasce il libro e a chi è dedicato?

Il libro nasce 5 anni fa quando, durante un incontro del percorso di Spiritherapy, venne posta questa domanda: se sapessi di dover morire da qui a 5 anni, quali sono le 5 cose che vorresti realizzare? Tra le mie c’era la volontà di lasciare traccia per iscritto di ciò che Dio ha compiuto nella mia vita, in un modo che riuscisse a parlare a tutti, per riconoscere quei segni che ogni giorno abbiamo per capire chi vogliamo essere e qual è la nostra missione. L’ho scritto in 4 anni come esercizio personale e un possibile testamento spirituale per il futuro. Poi questa estate la situazione di pandemia che stavamo vivendo mi ha fatto capire l’importanza di renderlo pubblico. Ho declinato il testo per tutti, credenti e non, adulti e giovani, perché ognuno possa ritrovare o cercare il proprio posto nel mondo, e i messaggi che ricevo dai lettori mi fanno capire di aver raggiunto l’obiettivo.

Chiara Amirante

Nata a Roma nel 1966, laureata in Scienze Politiche all’Università La Sapienza di Roma, è Fondatrice e Presidente della comunità Nuovi Orizzonti, riconosciuta nel 2010 dalla Santa Sede come Associazione Internazionale Privata di Fedeli.

Si occupa di disagio giovanile fin dai primi anni Novanta, quando inizia a dedicarsi ai ragazzi di strada, vittime di tossicodipendenza, alcolismo, prostituzione, violenza ed emarginazione, raggiungendoli nei luoghi più degradati di Roma. Da questa esperienza nasce Nuovi Orizzonti e Chiara sviluppa un percorso terapeutico riabilitativo di conoscenza di sé e di guarigione del cuore sull’arte d’amare: la Spiritherapy.

Dalla prima comunità di accoglienza residenziale, aperta nel 1994, Nuovi Orizzonti conta oggi 231 Centri di Accoglienza, Formazione, Orientamento.

Infatti nel testo questo tema torna più volte, attraverso i suoi continui dubbi personali.

Nel libro insisto molto sulle Dio-incidenze, un concetto a me caro ideato da Chiara Amirante, sulla domanda se abbiamo un destino, se siamo predestinati, se c’è un percorso determinato o ce lo creiamo noi. È una discussione importante che cerco di portare avanti, una pro-vocazione (altro elemento chiave nel libro), delle punzecchiature per stimolare la riflessione. A me non interessa che il lettore sia d’accordo con me ma che rifletta, proporre la mia esperienza per stimolare la ricerca. Quello che mi fa più paura, come dice Papa Francesco, è che oggi manchi una coscienza critica, che le persone non riflettano, non abbiano gli strumenti per farlo, perché oggi prevale il verosimile: se ripeti una cosa mille volte allora diventa vera. Ma avere una coscienza che s’interroga è fondamentale: nel libro racconto le mie riflessioni, ma spero che sia da stimolo per ognuno a farne di proprie. Ciò che conta è mettersi in cammino.

Parlando del seminario, nel libro la descrive come un’esperienza molto sofferta. È ancora così per i ragazzi di oggi? Cosa andrebbe cambiato, secondo lei?

I seminari minori sono ormai pochi e hanno per fortuna cambiato metodo pedagogico e educativo, ma resto comunque critico, credo abbiano più senso dei centri vocazionali ad ampio respiro, in cui aiutare un giovane a capire la propria vocazione senza strappi con la famiglia, ma anzi vivendo nel mondo e curando le relazioni con gli altri. Quando si hanno 12 o 13 anni si è ancora piccoli, è un’età particolare, e trovo importante che un ragazzo possa formarsi in una dimensione famigliare, crescere a livello umano, imparare per esempio a cucinare, a fare la spesa, cose che dice anche Papa Francesco e che molte comunità come la mia fanno già. Ci si forma per essere uomini prima, e sacerdoti o consacrati poi. E in questo senso rivaluterei la presenza femminile. Per me è stata fondamentale, noi abbiamo avuto come formatrice Chiara Amirante, e poi sua mamma Mietta che era un punto di riferimento per tutti, un po’ come don Bosco con sua madre. La presenza della donna, la complementarità tra maschile e femminile sono fondamentali per vivere in modo sano.

A proposito della figura femminile, all’interno della Chiesa c’è quella disparità di genere che molti denunciano? Che cosa si può cambiare? E qual è la sua opinione sul sacerdozio alle donne?

Sicuramente nella storia della Chiesa è venuto un po’ meno il profilo mariano, la presenza della donna che invece nelle prime comunità e nei Vangeli è molto marcato. Nel Vangelo di Luca si usa la parola greca mathetai per indicare discepoli e discepole allo stesso livello; nel cenacolo c’è Maria, sotto la croce ci sono le donne, le prime testimoni della resurrezione sono le donne… Poi nel tempo e nella storia la presenza femminile si è ridotta a ruoli e funzioni minori. Per quanto riguarda il sacerdozio alle donne, è un tema già trattato da Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis e in Mulieris dignitatem in cui ha spiegato che non è tanto la funzione della donna come prete che va cercata, quanto la valorizzazione della donna in sé nella Chiesa, al di là dei ruoli che ricopre. Poi certo, al sacerdozio era contrario e quindi il margine di dibattito si è ridotto di molto se non chiuso definitivamente.

Si augura che venga riaperto quel dibattito?

Io sono per i dibattiti sempre aperti, nel senso che trovo utile interrogarsi sempre partendo dal dato biblico, patristico e antropologico. Ma condivido il fatto che non siano i ruoli a fare la differenza, non si risolverebbe il problema dando il sacerdozio alle donne. Il vero focus deve essere valorizzare la donna in quanto donna nella Chiesa, il profilo mariano di cui tanto abbiamo bisogno.

davide
Dal sito web di don Davide Banzato

Il tema della donna è molto presente nel libro, per esempio racconta di aver avuto qualche fidanzata ed è un aspetto a cui ha fatto fatica a rinunciare. Crede che l’avrebbe vissuta diversamente senza l’obbligo del celibato?

Il celibato come unica opzione per essere sacerdoti è una scelta canonica nella Chiesa cattolica di rito romano e ambrosiano. Ci sono altri riti che ammettono la possibilità di scegliere prima di diventare sacerdote se esserlo da sposato o nel celibato. Ne parlo ampiamente nel libro ed espongo il mio pensiero. Il diritto canonico dice di scegliere, fra i candidati al sacerdozio, i celibi, quindi ammette che ci possano essere dei candidati che sentono la chiamata al sacerdozio nel matrimonio, ma poi indica l’elezione dei soli celibi. Io penso che questo tema, come per quasi un millennio è stato in discussione, possa in futuro riaprirsi, ma anche qui il punto non è solo permettere e basta: bisogna chiarire bene la propria vocazione, i fondamenti e le modalità. Io personalmente se non fossi celibe non avrei potuto fare tutto quello che ho fatto finora, perché conciliare il tempo per la famiglia e quello da dedicare alla comunità e al mio servizio sarebbe stato impossibile. Nel libro tratto ampiamente il mio conflitto interiore prolungato nel tempo e anche il tema del cuore indiviso e degli aspetti canonici prendendo una chiara posizione.

In generale, invece, come giudica l’operato della Chiesa contemporanea? Come crede possa migliorarsi?

Credo che la Chiesa sia in aggiornamento e miglioramento continui. Poi i Papi che abbiamo avuto nei secoli scorsi sono stati tutti diversi e straordinari, Papi santi. Ognuno ha dato un contributo essenziale senza il quale il successore non avrebbe potuto fare ulteriori passaggi fondamentali. Le sfide della Chiesa oggi penso che riguardino più il dialogo, la capacità di ascolto reale e di generare processi, come dice Papa Francesco, nelle persone. Poi bisogna distinguere la Chiesa dagli uomini di chiesa, e noi tutti siamo in potenza testimonianza o contro-testimonianza. Essere coerenti, credibili e più aderenti al Vangelo nudo e crudo è la vera sfida del futuro. Potremmo puntare di più sulla diffusione del Vangelo: per me è stato fondamentale, perché quando ho incontrato uomini di chiesa che me ne hanno presentato un’immagine pesante e contraddittoria, mi sono allontanato, mentre quando ho incontrato persone che mi hanno fatto innamorare del Vangelo, mi sono convertito.

davide SanPietro
Dal sito web di don Davide Banzato

A proposito, la sua vocazione è stata molto travagliata: qual è invece adesso lo stato di salute di Davide come persona e don Davide come sacerdote?

Io non li scindo, sono la stessa persona, un’entità unica. Sicuramente, vivere in comunità è una cifra essenziale senza la quale non avrei potuto e non potrei essere sacerdote, perché mi fa restare in contatto con le famiglie, i giovani, una missione in cui credo. È una tutela e una garanzia, anche se in questo tempo di pandemia le nostre priorità sono cambiate, le forze sono sempre meno ma le persone da aiutare sempre di più. Ed è molto logorante, perché non vivo il distacco terapeutico dei medici ma mi coinvolgo molto emotivamente. E i pesi a volte rischiano di schiacciarti.

Qual è l’insegnamento che questa pandemia le ha lasciato?

Credo proprio che il Covid, come dice Papa Francesco, ci ha insegnato che nessuno si salva da solo, che siamo davvero un’unica famiglia umana, fratelli e sorelle tutti connessi, e davvero potremmo fare la differenza con i nostri piccoli e grandi comportamenti, quindi l’importanza della responsabilità personale. D’altra parte, ci mostra anche quanto siamo fragili: se credevamo di essere onnipotenti, così non è. Tra tutti i cambiamenti, poi, abbiamo iniziato a condurre la Spiritherapy online. Prima in presenza radunavamo 3000 persone, adesso online, con due appuntamenti al mese, partecipano più di 20 mila persone da 56 paesi del mondo. Affrontiamo contenuti importanti, come dare risposte alla sofferenza, come vivere l’ansia, sfruttare al meglio questo tempo presente e uscire dal vortice dei pensieri negativi… Sono temi molto attuali, e il fatto che partecipino in così tanti mi fa capire come diamo una risposta che nasce dal Vangelo e dalla nostra esperienza a una domanda sempre più pressante.

E per il futuro a cosa state lavorando?

Abbiamo tanti progetti sociali come lo sviluppo del progetto Cittadella Cielo, progetti di prevenzione e contrasto alla povertà educativa per i giovani, le missioni all’estero che sono in sofferenza, in particolare in Brasile e in Bosnia Erzegovina perché la situazione lì è peggiore che in Italia. Abbiamo iniziato anche la nuova serie de I viaggi del cuore ogni domenica mattina alle 9 su Rete4. Ci tengo molto perché è un programma che permette alle persone di viaggiare attraverso la televisione nei luoghi spirituali in Italia e all’estero, e in questo momento in cui gli spostamenti sono ancora limitati trovo particolarmente importante seminare speranza nei cuori, così come mi auguro che il libro Tutto ma prete mai stia facendo.

Banzato cover
 

 

 

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