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Agenzie di Stampa, editori allo sbaraglio

Prima della radio, della televisione e dei siti d’informazione, i giornalisti e i tecnici delle agenzie di stampa avevano l’esclusiva responsabilità di diffondere notizie e dati in tempo reale. Si precipitavano sugli eventi o stazionavano nei luoghi, come le Borse valori, dove si formavano i prezzi delle quotazioni, che interessavano la comunità finanziaria e gli investitori.

L’agenzia Reuter solo qualche decina d’anni fa, prima dell’avvento della Rete, aveva una gigantesca infrastruttura di telecomunicazioni per diffondere in tutto il mondo le quotazioni rilevate sui mercati internazionali, tanto delle azioni che delle merci, nonché le notizie che influenzavano i prezzi.

Lo sviluppo dell’informatica diede la possibilità a ogni Borsa valori di creare la sua mega struttura di acquisizione e distribuzione automatica dei dati, sottraendo lavoro ai giornalisti e agli operatori delle agenzie. Con l ’avvento di Internet anche le notizie non sono più una esclusiva dei media. La Rete consente infatti a chiunque di pubblicare e diffondere ogni tipo di notizie.

In Italia le agenzie di stampa hanno avuto uno sviluppo e una proliferazione particolare, ma non possono pretendere di essere esenti dai grandi cambiamenti intervenuti nella comunicazione e di restare appese a un passato, ormai lontanissimo.

Agli inizi degli anni cinquanta l’allora Presidente del Consiglio, Luigi Einaudi, inventò infatti una legge per erogare fondi pubblici all’Ansa, già cooperativa di editori, che si trovava in grossi guai finanziari. A tutt’oggi , sia pure con alcuni aggiornamenti, quella legge è pressoché rimasta in vigore e poiché l’aiuto statale non poteva essere un’esclusiva, essa favorì la proliferazione di numerose agenzie.

Cominciò l’Eni di Mattei con la creazione dell’Agi, seguì la DC di Piccoli con l’Asca, non vollero essere da meno i socialisti con l’ADN Kronos di Pippo Marra. Poi a cascata, grazie alla facile possibilità di accedere a fondi pubblici, si aggiunsero sette o otto altre agenzie, fino a ‘’La PRESSE’’ , che ha affiancato all’ agenzia fotografica, un notiziario generalista che le ha consentito di entrare nella ripartizione dei fondi. Gli ultimi governi hanno sollecitato il sistema delle agenzie a migliorare la produttività, favorendo le fusioni e diminuendo nel contempo la distribuzione di risorse. Da generiche convenzioni, per non incorrere a sanzioni Ue, relative agli aiuti di stato, si è passati a contratti di fornitura di servizi, valutati però in base ai costi sostenuti dalle agenzie, piuttosto che ad eventuali prezzi di mercato.

Il reiterato invito dei governi a una spontanea ristrutturazione del settore è rimasto inascoltato, nonostante le malpensate restrizioni intervenute all’accesso di ‘’acquisti pubblici’’, che sono state recentemente respinte dalla magistratura.

E ora, di fronte alla prospettiva di dover gareggiare con le grandi agenzie internazionali, anziché valutare l’opportunità di rispondere con una grande alleanza in grado di competere al meglio, si cerca ogni appiglio pur di difendere la facile rendita di posizione.

Un’ adeguata ristrutturazione del settore dovrebbe portare a due grandi agenzie generaliste: una para-statale, l’altra completamente privata. Ma forse è un’utopia destinata a restare inattuata, il che però non basta alle centinaia di giornalisti che lavorano nelle agenzie con grande passione, responsabilità e competenza, come in pochi altri settori dell’editoria.

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