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Caso Soumahoro: a Non è l'Arena di Giletti scoppia il finimondo

Caso Soumahoro: da Giletti scoppia il finimondo

Il caso Soumahoro comincia a delinearsi nella sua completezza e il quadro che emerge non è certo confortante.

Ieri, 27 novembre, da Giletti a Non è l’Arena (La7) sono stati approfonditi alcuni fatti inquietanti riguardanti la gestione delle due cooperative da parte della suocera e della moglie dell’ex deputato che sono attive da molto tempo.

C’è la gestione di più di 60 milioni di euro che non convince, ci sono altri appalti e soprattutto c’è la condizione miserrima in cui erano (sono) tenuti i migranti.

La Procura di Latina sta indagando ma il quadro complessivo si allarga e si arricchisce ogni giorno di nuovi elementi molti critici proprio su Aboubakar Soumahoro, come la gestione di somme raccolte in Puglia con due ex soci che ora lo accusano di scarsa trasparenza sui conti.

Ma la cosa che ha indispettito e lasciato basiti gli ospiti in studio e i telespettatori è stato l’atteggiamento della coppia che intercettata in una villa del quartiere residenziale di Casalpalocco, vicino Roma, ha fatto scena muta non rispondendo alle domande del cronista sul mutuo utilizzato per comprarla. Come noto le banche prima di concedere un mutuo vogliono infinite garanzie e al tempo dell’acquisto la coppia formalmente non sembrava averle, alla luce di quanto dichiarato.

In studio Francesco Storace, Elisabetta Gardini, Peter Gomez ed un avvocato, Iuri Maria Prado, che l’ha sparata grossa dicendo che il caso Soumahoro è stato montato perché nero, anzi lui ha detto “negro” che pensavamo fosse una parola ormai polverizzata dal politically correct imperante.

L’avvocato ha replicato in una maniera bizzarra e contorta paragonando il caso del deputato di colore con quello della guerra ucraina, mettendoci dentro pure Putin e Zelensky.

Al che anche la Gardini e Storace hanno chiesto cosa c’entrasse ma Prado, in piena confusione, ha fatto “occhioni” stupiti e tutti in studio hanno capito che era impossibile un dialogo coerente.

A questo punto Giletti si è giustamente adontato –  usiamo questo eufemismo - mettendolo a tacere con uno squillante “si vergogni!”.

È vero che i difensori di Soumahoro ormai sono pochissimi “professionisti del politically correct” ma forse la presenza di interlocutori più lucidi come il pur schierato Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista e forse in futuro dell’Unità, avrebbe dato una dimensione più professionale alla “difesa”.

In tutto questo colpisce che Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni non scarichino ufficialmente ed apertamente il deputato ivoriano che, come ha fatto notare Storace, è solo “autosospeso” a 15.000 euro netti al mese, più benefit e contributi pensionistici, gli stessi-aggiungiamo noi- che le cooperative di moglie e suocera non hanno versato ai lavoranti.

Insomma, ancor prima che la giustizia faccia il suo corso per accertare analiticamente le responsabilità, emerge un quadro politicamente e soprattutto umanamente inaccettabile perché Soumahoro non poteva non sapere di quello che accadeva nelle cooperative guidate da moglie e suocera, peraltro premiata da Laura Boldrini nel 2018 come “imprenditrice dell’anno”.

Questa nomina ha permesso alla Karibu di assumere grande prestigio.

Ed anche la sciocca perseveranza con cui Aboubakar continua a difendere “il diritto alla moda e alla eleganza” della moglie, ufficialmente disoccupata ed iscritta all’INPS che però “veste Prada” e si compra i bauli di Louis Vuitton, non depone bene.

La stessa CGIL e la Caritas accusano direttamente Soumahoro ed a questo punto occorrerebbe isolare lo scaltro ivoriano e cercare se ci siano degli appigli per farlo dimettere magari facendogli ripercorrere in senso inverso il tappeto rosso che ha lordato con i suoi stivaloni sporchi di fango, peraltro neppure suoi.

Sarebbe un bel segnale per l’Italia e una giusta punizione per chi si è approfittato della dabbenaggine (speriamo) di partiti e istituzioni. 

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