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Social e oblio: Parigi, che cosa rimane oltre ai dati per Facebook

Ci risiamo. Anche nella strage di Parigi i social network stanno compiendo la loro parabola: prima fonte preziosa, con tanto di racconto in diretta dei testimoni oculari; poi il cordoglio espresso in forma di foto profilo e hashtag; infine la dimostrazione plastica della memoria labile.
L'11 settembre fu stato anche un evento mediatico. Il primo attentato terroristico in diretta tv, con gli aerei che colpiscono e le torri che crollano. C'è chi ha definito l'assalto alla Francia l'11 settembre dell'Europa. Se quello del 2001 è stato un evento televisivo, questo è stato un evento social.
Alle 23 del 13 novembre, Benjamin Cazenoves testimonia sulla sua pagina Facebook: “Sono ancora nel Bataclan. Stanno abbattendo tutti uno per uno”. Pochi minuti e un altro messaggio: “Sono vivo, ma qui è un massacro”.
Nei momenti di panico, i social network non si sono limitati al racconto. L'hashtag #PorteOuverte segnalava ai parigini che non sapevano come tornare a casa i luoghi dove avrebbero trovato “porte aperte”.
Poi, in poche ore, la trasformazione: i social diventano luogo di solidarietà, più manifestata che concreta, con l'hashtag #Prayforparis. Un contenitore segnalato da un cancelletto nel quale ci sono informazioni utili, analisi apprezzabili, tweet di solidarietà. Ma anche inni alla guerra di religione e propaganda politica.
Cambiando social il risultato non cambia. Facebook taglia la questione con l'accetta. Per esternare il proprio coinvolgimento basta cambiare la propria immagine del profilo. Sulle bacheche di tutto il mondo campeggia la bandiera francese. L'iniziativa è stata lanciata da Facebook. Menlo Park l'ha chiamata “We stand together, #JeSuisParis”. Il social aveva fatto lo stesso dopo la decisione della Corte Suprema Usa di aprire ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Allora era stato l'arcobaleno. Adesso il tricolore. Allora si era parlato della questione per qualche giorno. Poi, nonostante milioni di adesioni, più nulla. Anzi, qualcosa resta: i nostri dati.
Alcuni giornali avevano parlato apertamente di “un esperimento”. Facebook ha smentito, senza però negare che le modifiche su vasta scala possano essere utilizzati per capire meglio la risposta della Rete. Che si tratti di un esperimento creato ad hoc o meno, il social impara a capire chi è più sensibile ad alcuni messaggi. Elementi che forse non saranno utilizzati per indirizzare la pubblicità. Ma sono sicuramente un “effetto collaterale” che fornisce informazioni su ciò che più sta a cuore a Mark Zukerberg: sapere come si comportano le persone per gestire la viralità.
Al di là delle manifestazioni esteriori, lo sforzo di comprensione si sta rivelando minimo. Con l'attenzione che va esaurendosi in poche ore. Il 13 novembre, l'hashtag #Prayforparis aveva superato i 4 milioni di citazioni. Il giorno dopo erano già dimezzate. Il 15 novembre sono scese sotto quota 200 mila. Trending topic nei giorni scorsi, #Prayforparis è uscito dalla classifica, sostituito da un più casalingo #alfanodimettiti e da altre amenità come #amicicasting e #twittamibeautiful.
Facebook e Twitter rendono la rapidità dell'oblio più eclatante e (soprattutto) più misurabile. Ma si tratta di un fenomeno umano e non solo social. Non a caso, una frase che lo rappresenta viene da un film del 1928 (quando Facebook e Twitter erano lontani anni luce). Il regista King Vidor chiude The Crowd così: “La folla riderà sempre con te, ma piangerà con te solo per un giorno”. Attualizziamo la citazione: la bandiera francese sarà presto ammainata per lasciare spazio ai gattini.
@paolofiore