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Nomine Rai, basta interferenze politiche. La Tv pubblica alla società civile

La corsa alle nuove nomine Rai sta infuocando da settimane il dibattito mediatico, con la stampa che si getta a capofitto su tagli, ritagli, frattaglie di notizie riguardanti questo o quel papabile direttore di rete, questo o quel papabile schieramento politico vittorioso nella spartizione delle poltrone a Viale Mazzini, questa o quella "quota" politico-istituzionale che caratterizzerà i novelli - qualora saranno o dovessero mai essere designati - padroni del vapore del Servizio Pubblico Radiotelevisivo.

A questo ignominioso surrogato di "Indovina Chi" ci giochiamo più o meno tutti quanti perché con Mamma Rai ci siamo cresciuti, oltre a sovvenzionarla con il canone, e di conseguenza è fisiologico che c'interessi sapere chi vi metterà le mani sopra. E, tuttavia, invece di appassionarci a questa Ciranda De Pedra mediatica, anziché giocare ai veggenti o a chi ne sa di più, azzardando ipotesi e lanciando i vari "chi in quota a cosa", dovremmo respingere questo sordido teatrino e a gran voce gridare ai Palazzi: "Giù le mani dalla Rai". Dovremmo rinfacciare a ogni piè sospinto a Lega e M5s la promessa - rivelatasi sostanzialmente demagogica e niente più - secondo la quale la Rai doveva essere liberata dalle interferenze politiche, per restituirla alla società civile. Dovremmo sollecitare Pd, Leu, Italia Viva e tutta l'ex Opposizione divenuta ora Maggioranza a non tentare di piantare bandierine solo per sradicare quelle dei precedessori a Palazzo Chigi e, di conseguenza, a Viale Mazzini.

Il costante pressing di Palazzo Chigi e delle Aule Parlamentari sull'Ad Rai, con i partiti e finanche le correnti interne ai vari partiti che si contendono le ambìte poltrone del Servizio Pubblico, determina una impasse che, in passato, è stata quasi sempre superata per ragioni di scadenze o esiti elettorali e non per una decisione ponderata sulle professionalità da promuovere o da sostituire. Le nomine Rai dovrebbero essere invece governate da uno spirito che premi e valorizzi in primo luogo le competenze riconosciute, i risultati positivi ottenuti, le capacità indiscusse, e non l'appartenenza politica o la vicinanza a questo o quel leader di partito, o spesso soltanto ai suoi yesmen. L'Amministratore Delegato Rai dovrebbe essere scevro da qualsivoglia pressione, se non quella della fedeltà al servizio pubblico per la collettività, e libero di scegliere o confermare dirigenti validi a prescindere dal loro "Santo in Paradiso".

La Rai, sovvenzionata dal canone dei cittadini, non dovrebbe più essere terra di conquista dei partiti politici, bensì patrimonio collettivo da affidare ai migliori attori della società civile, lasciandosi sempre più alle spalle le interferenze istituzionali. Anche perché, in una situazione politica fluida come quella attuale, con leader e partiti che conoscono glorie subitanee e altrettanto subitanee cadute, con percentuali bulgare che, nello spazio di pochi anni, diventano prefissi telefonici, e governi che durano come neve al sole, si rischia di cambiare vertici Rai a ogni canto del gallo. E per giunta con i tanti, troppi, galli a cantare non si fa mai giorno, come sta avvenendo in questo periodo, con nomine e date annunciate per poi essere rinviate ad aeternum. 

I condizionamenti politici sulla Rai, anziché essere vissuti come fisiologici, debbono dunque iniziare ad apparire inaccettabili, in primis dai Media. Che siano il curriculum, le competenze specifiche e gli obiettivi raggiunti a determinare scelta, permanenza e dipartita di un vertice Rai, anziché le entrature nei palazzi che contano. E che d'ora in poi l'indipendenza di un vertice sia considerata un valore, anziché una sostanza velenosa da respingere con l'antidoto dell'ostracismo. L'indipendenza, in primis nella Tv pubblica, è garanzia per tutti, l'asservimento privilegio di pochi. Nonché fonte di sciagure perpetue. 

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