Auto 2035, ACEA sfida Bruxelles: “Target irrealistico, serve flessibilità” - Affaritaliani.it

Auto e Motori

Ultimo aggiornamento: 07:45

Auto 2035, ACEA sfida Bruxelles: “Target irrealistico, serve flessibilità”

Nel confronto sul 2035 la UE valuta “tutte le tecnologie”, dagli e-fuel agli ibridi plug-in. ACEA avverte: obiettivo a zero emissioni irraggiungibile senza flessibilità e tempi realistici.

di Giovanni Alessi

Per una volta la discussione sull’auto del futuro entra nella vita quotidiana degli europei senza tecnicismi.

Da un lato c’è Bruxelles che ribadisce l’ambizione climatica, dall’altro l’industria che chiede di allargare il perimetro delle soluzioni. Il messaggio che filtra dai palazzi europei è chiaro: sono “al vaglio tutte le tecnologie”, non solo l’elettrico puro. Tradotto, gli e-fuel e gli ibridi plug-in tornano al centro del dialogo come strumenti per accompagnare il mercato verso la soglia del 2035 senza perdere pezzi lungo la strada.

Nel frattempo, i costruttori riuniti in ACEA mettono sul tavolo il tema più scomodo: con infrastrutture di ricarica a macchia di leopardo, costi energetici altalenanti e una domanda BEV ancora fragile in diversi Paesi, il target 2035 rischia di trasformarsi in un muro. La richiesta è di flessibilità: riconoscere un ruolo transitorio agli ibridi plug-in, definire standard chiari per i carburanti sintetici a bilancio CO₂ neutro, valorizzare le city-car elettriche e la produzione a basse emissioni lungo tutta la filiera. Non si tratta di frenare la transizione, sostengono le aziende, ma di renderla realizzabile.

La Commissione europea ascolta e mette i puntini sulle i: l’obiettivo climatico non si tocca, ma il percorso può essere ottimizzato. L’apertura agli e-fuel non è una concessione ideologica, bensì un cantiere regolatorio complesso che dovrà certificare l’effettivo impatto climatico del combustibile, dalla produzione all’uso. Lo stesso vale per gli ibridi plug-in: potranno avere un posto se i dati sull’utilizzo reale — percorrenze in elettrico, ricariche effettive, emissioni misurate su strada — dimostreranno benefici concreti. In altre parole, meno slogan e più metriche verificabili.

Sullo sfondo rimane il tema che decide tutto: i tempi del mercato. La corsa cinese sui veicoli elettrici spinge i prezzi verso il basso e alza l’asticella tecnologica; l’Europa, per non restare spettatrice, deve accelerare su ricarica ad alta potenza, batterie e materie prime, sostenendo al contempo l’offerta di elettriche accessibili. È qui che la proposta di una nuova categoria di piccole EV a costi contenuti, con incentivi mirati e regole smart, potrebbe fare la differenza. Meno burocrazia per chi produce in Europa, più colonnine dove servono davvero, tariffe intelligenti per ricaricare quando l’energia costa meno: sono tasselli che trasformano la visione in adozione di massa.

Gli e-fuel, intanto, dividono. Per l’industria sono una valvola di sicurezza per flotte, nicchie ad alte prestazioni e per il parco circolante che non scomparirà nel 2035. Per gli ambientalisti, rischiano di diluire gli investimenti sul full electric e di ritardare il taglio delle emissioni nel trasporto di tutti i giorni. La verità, come spesso accade, sta nella scala: se i volumi restano limitati e ben regolati, gli e-fuel possono essere un alleato di transizione; se diventano un alibi, la strada verso il clima neutro si fa tortuosa.

E gli ibridi plug-in? Tecnologicamente hanno compiuto passi avanti, con autonomie elettriche più ampie e logiche di gestione più efficienti. Ma la loro credibilità dipende dall’uso reale: senza una rete di ricarica capillare e convenienti strumenti di tariffazione, la promessa di viaggiare a zero emissioni in città rischia di restare sulla carta. Per questo la partita non è solo industriale: è politica e infrastrutturale.

Alla fine, il bivio europeo è meno ideologico di quanto sembri. L’auto del 2035 non sarà figlia di una singola tecnologia, ma di un ecosistema coerente in cui BEV, PHEV ed eventualmente e-fuel contribuiscono  con regole chiare e misurabili  a un obiettivo comune. Se l’Unione manterrà l’ambizione climatica e ascolterà i dati, non gli alibi, la transizione potrà essere non solo giusta, ma anche competitiva. È questa la sfida che l’Europa non può permettersi di perdere: trasformare la promessa in mobilità reale, senza lasciare indietro consumatori, imprese e territori.