Home
Pd, la minoranza vuole libertà di voto al referendum sul Jobs Act. Ma Schlein tira dritto: si vota SI' a tutti i quesiti. E chi non si adegua...
Resa dei conti tra i Dem. Asse tra la segretaria e Landini

Tanto i referendum non otterranno quasi certamente il quorum e la segretaria Dem potrà accusare la minoranza di non aver fatto campagna elettorale e di non essersi spesa per portare i cittadini-elettori alle urne
Prima o poi i nodi vengono al pettine. E puntualmente sta accadendo. La parte riformista del Partito Democratico, in parte ex renziani ma non solo, guidato dal presidente del Copasir ed ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, chiedono alla segretaria Elly Schlein di lasciare libertà di voto sul referendum sul Jobs Act che, se passasse, cancellerebbe una riforma fatta proprio dal Pd, anche se in un'altra epoca e guidato dall'ex premier ed ex segretario Matteo Renzi.
Sono diversi gli esponenti moderati, liberali e cattolici che proprio non se la sentono di smentire se stessi e la storia recente del Nazareno e ricordano che solo con il leader di Italia Viva il Pd fu in grado di superare alle elezioni europee quota 40%, un record assoluto che perfino Giorgia Meloni si sogna. Eppure, secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, la segretaria Schlein e la responsabile Lavoro Maria Cecilia Guerra, che hanno sottoscritto i referendum sul lavoro di Maurizio Landini e della Cgil, non hanno alcuna intenzione di cedere e l'indicazione ufficiale dei Dem, almeno della segreteria che rappresenta il vertice del partito, sarà quella di andare a votare tutti SI', ovviamente incluso anche il quesito che facilita la cittadinanza italiana per gli stranieri (ma su questo tema non ci sono divisioni interne).
Resta il fatto che quella fino a ieri era una sfida sottotraccia ora sta emergendo in modo netto e chiaro. Affaritaliani.it ha scritto qualche giorno fa che Schlein ha una sorta di 'note-book' sul quale annota chi non darà una chiara indicazione di votare SI' ai referendum, tutti, dell'8-9 giugno per poi fare i conti quando verrà il momento.
E l'immagine del Primo Maggio a Roma della segretaria Dem in prima fila al corteo di fianco a Landini è la plastica dimostrazione del totale e completo sostegno del Nazareno alla battaglia referendaria della Cgil, compresa quella sul Jobs Act.
Fermento, tensione e fibrillazioni nell'area riformista che oltre a Guerini si riconosce ad esempio nel presidente del partito Stefano Bonaccini e che vorrebbe come leader e candidato premier o Paolo Gentiloni o Ernesto Maria Ruffini, con dietro l'ombra del leader dell'Ulivo Romano Prodi. Ma su quel 'note-book' di Schlein, stando ai rumor non confermati, ovviamente, ma insistenti, verranno segnati i nomi di chi non farà apertamente campagna elettorale per il SI' ai referendum e chi disubbidirà alla linea ufficiale del Pd quasi certamente non verrà ricandidato alle prossime elezioni politiche.
Schlein, dopo aver tenuto Trento, punta conquistare Genova, anche se i sondaggi parlano di una sfida ancora aperta, e poi a stravincere 4 a 1 le Regionali (solo il Veneto al Centrodestra). Il tutto per correre alle primarie e al congresso anticipato e schiacciare la minoranza interna che si oppone, tra l'altro, all'alleanza con il M5S di Giuseppe Conte.
Schlein invece tiene il legame con i pentastellati ma, grazie alla riforma della legge elettorale e all'asse con la premier, vuole che venga indicato il nome del candidato premier sulla scheda elettorale. In modo tale che la sfida alle Politiche, anticipate nel 2026 o a scadenza naturale nel 2027, siano un duello a due Elly-Giorgia.
La minoranza interna ci prova a far sentire la sua voce sul Jobs Act, ma la segretaria non vuole rinunciare alla linea del partito veramente di sinistra, al rapporto con Landini e la Cgil e quindi la risposta sarà picche. L'8 e 9 giugno il Pd voterà SI' a tutti i referendum e chi non si adegua alla decisione ne pagherà le conseguenze quando verranno fatte le liste elettorali. D'altronde Schlein ha capito che il tema del lavoro, inclusa la sicurezza, ma soprattutto dei salari e della povertà in aumento può essere un ottimo cavallo di battaglia per incalzare il Centrodestra e soprattutto la presidente del Consiglio.
E quale miglior occasione dei referendum di giugno per rilanciare questo tema? Tanto poi non otterranno quasi certamente il quorum e non saranno validi e così la segretaria Dem potrà anche accusare la minoranza interna di non aver fatto campagna elettorale e di non essersi spesa per portare i cittadini-elettori alle urne. Un piano perfetto per prendersi tutto il Pd e sfidare Meloni.
Leggi anche/ Elezioni, Meloni-Schlein e il 'patto segreto' sulla legge elettorale per ingabbiare gli alleati di destra e sinistra - Affaritaliani.it