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Politica
A proposito di razzismo...
(fonte Lapresse)

Era alta, snella, allegra. Avrà avuto diciott’anni, come me, del resto. Partecipava al passeggio di Via Etnea, come tutti, ed io la guardavo incantato. Con i suoi capelli biondi a caschetto e il suo nasino piccolo in mezzo al viso chiaro, sembrava appartenere ad un altro livello sociale, ad un’altra razza, ad un altro mondo. Non ne ero innamorato, forse anche perché la natura ci impedisce di aver voglia di accoppiarci con animali che non appartengono alla nostra specie. Ma era impossibile ignorare un sentimento di invalicabile inferiorità. Ero piccolo di statura, mi consideravo di colorito scuro (mentre non lo ero, l’ho capito dopo), temevo quasi di avere il nasone e i labbroni dei neri (non avevo nemmeno quelli) e insomma ho assaggiato l’inferiorità razziale.

Lasciamo da parte le angosce immaginarie di un ragazzo, certo è che da sempre ho cercato di non chiudere gli occhi sui difetti miei o del mio gruppo. Quando, negli Anni Cinquanta, il Nord Italia guardava al Sud come ad una colonia di selvaggi semi-islamici, io ero pronto a solidarizzare con i polentoni. Quando nei libri percepivo il disprezzo che l’Italia “militare” riscuoteva nell’intera Europa, passavo in rassegna le nostre sconfitte e non pensavo più che i nostri amici d’Oltralpe fossero dei calunniatori. Quando poi consideravo le nostre furbizie (la dichiarazione di guerra alla Francia, nel 1940) e i nostri voltafaccia, mi vergognavo come un ladro, come se fossero colpa mia.

Il principio, allora come oggi, è sempre lo stesso. Dal momento che tutti tendiamo a vederci migliori di come siamo, e dal momento che tutti siamo pronti a perdonarci qualunque cosa, la regola deve essere quella di vederci peggiori di come siamo e di non perdonarci niente. Chissà che così, contrapponendo un eccesso all’altro, non ci avviciniamo alla verità.

Questo per dire che, come da ragazzo non mi sono meravigliato quando nel Nord mi hanno considerato un selvaggio (e mi è stata risparmiata l’accusa di mafioso soltanto perché non avevo l’età per essere arruolato) oggi non mi meraviglierei se, essendo negro, mi considerassi un individuo di razza inferiore. Ma è la verità?

Domanda difficile. Il fatto che, da negro, io sarei disposto ad accettare la qualifica di inferiore, non dimostra che lo sia. In questo campo non bisogna eccedere né nell’una né nell’altra direzione. Se fossi una donna, per esempio, accetterei senza batter ciglio, ma soltanto fino a nuovo ordine, l’accusa di una minore predisposizione alla composizione musicale. Infatti, mentre le esecutrici valgono sicuramente quanto gli esecutori, e a volte addirittura sembrano incomparabili (pensiamo a geni del pianoforte, come Martha Argerich, del violino, come Anne Sophie Mutter. o del violoncello, come la compianta Jacqueline Du Pré) di compositori donne di cui valga la pena di parlare, neanche l’ombra. E dire che nell’Ottocento tutte le ragazze di buona famiglia hanno studiato pianoforte. Una differenza in positivo o in negativo è sempre possibile. I fondisti del Kenia o dell’Etiopia (credo) hanno sempre fatto strage di medaglie, alle Olimpiadi.

Il caso delle donne ci illumina per quanto riguarda i neri. Soltanto nei Paesi sviluppati, e da non molto tempo, le donne sono relativamente libere e relativamente in rapporto di parità con gli uomini. Quando questa parità si sarà mantenuta per due o tre secoli, si pareggerà la creatività artistica o rimarrà più o meno la stessa di oggi? Chissà.

Sicuro è che un gruppo, anche se non lo è biologicamente, può essere reso inferiore dalle condizioni sociali. I Taliban, in Afghanistan, vietano alle donne di imparare a leggere e scrivere, per non parlare del resto, e così si assicurano l’evidenza della superiorità maschile. Basterebbe vietare la scuola agli uomini e non alle donne, e avremmo ribaltato la superiorità. E così la mia personale negritudine va a cercare altrove la soluzione del problema.

È vero che la polizia americana non raramente è brutale quando procede all’arresto di un ladro. E comunque reagisce selvaggiamente quando il fermato resiste alla forza pubblica. Ma com’è che tanto spesso quel ladro o quel violento è di razza nera? È passato un secolo e mezzo dalla fine della schiavitù, possibile che ancora ci sia una distinzione di economia e di civiltà fra bianchi e neri? O è che i neri, temendo di essere considerati inferiori, sovrareagiscono a qualunque imposizione? E com’è che essi primeggiano nel calcio mentre sono praticamente assenti nella produzione artistica, salvo il jazz?

Temo che, per avere risposte convincenti, anche per i neri bisognerà aspettare qualche secolo. Fino ad ora ne abbiamo soltanto una: il Sud Africa dell’apartheid, socialmente ingiusto, era più prospero e ordinato del Sud Africa dove comandano i neri, e dove oggi essi stanno peggio di come stessero allora. Forse qui bisognerà aspettare anche più di tre secoli.

giannipardo1@gmail.com

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    razzismo





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