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Politica
Bubble Democracy, vacilla la politica: i partiti puntano solo sul consenso web
Aula del Senato

L'unica via d’uscita per la nostra politica è quella di tornare ad un pensiero forte, roccioso, fondato sull'ordine naturale che respinga, con la forza dell'argomentazione razionale, le "bolle ideologiche"

Il prof. Damiano Palano, filosofo della politica e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha pubblicato nel 2020 un interessantissimo saggio dal titolo "Bubble Democracy: la fine del pubblico e la nuova polarizzazione".

L'opera mette molto bene in evidenza come, a partire dalla crisi delle masse degli anni '60 e '70 del secolo scorso che iniziano, in quel periodo, a perdere progressivamente la loro centralità politica, sia emerso un nuovo soggetto, il "pubblico", formato dalla sterminata platea televisiva che oggi, con il dominio schiacciante dei social media, ha subito una profonda frammentazione in una pluralità di segmenti privi di radicamento nell'ambito di una sfera comunicativa comune.

L'espressione "bubble democracy" indica, pertanto, che, dopo la democrazia dei partiti e la democrazia del pubblico, si è affermato un assetto caratterizzato da una miriade di "bolle" in buona parte autoreferenziali. Il consolidarsi di questa realtà impatta sui concetti stessi di democrazia e di rappresentanza politica: infatti da un lato si determina una forte cyber/polarizzazione ove ciascuno sente unicamente l'eco amplificato della propria "bolla di riferimento", con contestuale chiusura pregiudiziale rispetto alle possibili alternative e dall’altro, grazie alla pervasività dei social media nella vita degli utenti, non solo si riesce a porre in essere un'informazione giornaliera personalizzata, ma addirittura la si supera pervenendo ad un'informazione passiva che viene offerta all'utente dall'intelligenza artificiale sulla base del profilo personale designato dall'algoritmo.

Ed anche i partiti si stanno innamorando sempre di più dell’idea di costruire il loro consenso sui social, in una sorta, mutatis mutandis, di quella che Norberto Bobbio ha chiamato, in altro contesto ma che ben si attaglia all’attuale periodo storico, “democrazia dell’applauso”. Nell’ ordinamento italiano manca una disciplina organica del fenomeno, al di là di alcune decisioni dell'AGCOM (come la delibera 05 aprile 2019, n. 109 adottata in vista delle elezioni europee) che, peró, non sono cogenti, lasciando la soluzione dei problemi alla autoregolamentazione degli stessi social networks.

Pure il recente regolamento UE n. 2065/2022 (c.d. Digital Service Act) presenta più profili critici rispetto a quelli che risolve, soprattutto per la lotta alla presunta disinformazione che si rivela una sorta di censura nascosta: in base a quali oggettivi parametri si può bollare una notizia come disinformazione? Non vogliamo rassegnarci ad una proliferazione delle "bolle", ad una democrazia dell’algoritmo ed allora l’unica via d’uscita è quella di tornare ad un pensiero forte, roccioso, fondato sull'ordine naturale che respinga, con la forza dell'argomentazione razionale, le "bolle ideologiche" che permeano il sistema e che incrementano la conflittualità sociale.

*Articolo a cura di Daniele Trabucco, Professore universitario strutturato di Diritto Costituzionale, Diritto dell’Unione Europea e Diritto Internazionale presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento universitario «san Domenico» di Roma/Campus universitario e di Alta formazione Unudolomiti di Belluno. Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato e Dottrina dello Stato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamuche «Erich Froom») e Filippo Borelli, avvocato del Foro di Verona. 

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