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Politica
Craxi, 21 anni dalla morte: un dovere ricordare

“Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Dietro la cosiddetta longa manus della globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria”. (…) “Ridurranno l’Italia in miseria, la venderanno, per poi umiliarla”. L’uomo che, la bellezza di tre decadi fa, profetizzò tutto sto “ben di Dio”, moriva oggi, dopo atroci sofferenze fisiche e morali. Era il 19 gennaio del 2000. Ha vissuto l’inferno Craxi, un trattamento riservato a pochi.

Basti pensare allo squadrismo visto al Raphael che, storicamente, per ferocia, dannazione, vigliaccheria e crudeltà è secondo solo a Piazzale Loreto. Una vergogna senza limiti. Eppure, sia prima che dopo Craxi, di porci politici codesta sciagurata nazione ne ha avuti, eccome se li ha avuti. Non andiamo cronologicamente troppo lontano, guardiamoci attorno. Voltagabbana, traditori del “sacro” elettore, da nono girone dantesco che, come per incanto, diventano divini costruttori.

Siamo di fronte a un disarmante vuoto caratterizzato da una devastante incapacità di un intero emiciclo oramai alla sbando. Il nulla: preparazione, dottrina, professionalità e sensibilità verso il proprio paese e il Sovrano saggio; il popolo. Regna maestosa l’incompetenza, l’approssimazione, la faciloneria e, un tanto al chilo, anche la spregiudicatezza. Roba da far accapponare la pelle. Pericoloso l’atteggiamento nei confronti del fenomeno incontrollato dell’immigrazione, imbarazzante la genuflessione da pornodive al cospetto di un’Europa sempre più arrogante, e sconvolgente il mutismo dinanzi ad un sistema giudiziario malato. Una grande Nazione divenuta barzelletta globale!

Alleanze parlamentari improbabili ove a farla da padroni da una parte ci troviamo gli inciuciari per antonomasia e dall’altra, in alleanza, ancor peggio; l’accozzaglia dell’inettitudine. E questi dovrebbero trattare la delicata “cosa” pubblica? Un tale, tempo fa, ammise: “se dovessimo misurare la differenza di preparazione culturale tra l’era Craxi e l’attuale governance italiana, in distanza, in chilometri, saremmo costretti ad utilizzare gli anni luce”. La corrente classe politica è quella che, lustri addietro, tirava le sassaiole al Raphael Hotel, e un giorno sì e l’altro pure lanciava un Vaffanculo dalle piazze al Colle, establishment compreso. Gli anticasta trasformatisi magicamente (auto blu e stipendi faraonici) in supercasta più accanita della casta stessa. 

E non stupiamoci se il macchinoso comparto giudiziario è ormai fuori controllo, se gli “affari esteri” sono morti e sepolti, se la sanità è in perenne stato di abbandono e la scuola in balìa del nulla. Sulla questione immigrazione clandestina stendiamo un velo molto pietoso! Un dramma biblico. Per non parlare dei pieni poteri. Quelli sì che andavano avvinghiati, con le unghie e con i denti, per esautorare un parlamento eletto e nel peggior momento della storia, a fronte, tra l’altro, di una gestione Covid a dir poco disastrosa e senza un piano pandemico adeguato, pardon inesistente!

Rammemorare l’Italia di Craxi oggidì è come fare un meraviglioso tuffo nel passato, un sonno con tanto di sogno dal quale è preferibile non svegliarsi per non avere a che fare con la desolante realtà.  

Tuttavia, contro di lui, il testamento era già scritto nelle “supreme” carte di quel famoso Deep State italo-americano (e non solo) che lo odiava fino al tal punto di vederlo crepare nel peggiore dei modi, senza cure, su una branda gelida in una topaia militare. Testate quali Repubblica, all’ora diretta da E. Scalfari, altro paladino della coerenza (da mussoliniano della prima ora, orgoglioso redattore di “Roma Fascista”, a profondo antifascistone) e i suoi squallidi vignettisti, fomentava la folla come cagna inferocita, con l’ausilio di quei morbosi “dipinti” nei quali si mostrava il leader socialista in camicia nera, stivaloni e a testa in giù. Lo apostrofavano “Benito di Tacco”, a metà tra l’ex Duce d’Italia e il celebre bandito Ghino di Tacco di Radicofani vissuto verso la metà del 1200, acerrimo nemico di Papa Bonifacio VIII.

Era – come avrebbe detto Pasolini – il temuto “fascismo degli antifascisti”. Giunsero dalla vicina Piazza Navona armati di sampietrini, mattoni, tondini, sassi, bottiglie, accendini, pacchetti di sigarette e – soprattutto - monetine. Tante monetine. Non c’era tempo di aspettare i processi. No! E c’è anche chi, a fine esecuzione, non contento, decise di raccoglierle dal selciato. Duecentomila lire per poi godersi una buona cena, alla faccia di chi lo aveva governato sino al giorno prima e di chi aveva portato questo irriconoscente Paese tra i più industrializzati del mondo. Duecentomila lire! Duecentomila lire di “ferrugine” e non una banconota. Quella, i soliti buon samaritani, se la sono tenuta in tasca. “Prendi anche questi…”, gridavano tronfi, ma la carta filigranata è stata prontamente rintascata. Che bluff. Duecentomila lire. Questo il costo di cinquant’anni di politica. Duecentomila lire per cacciare dalla Patria uno dei più autorevoli Statisti del Ventesimo secolo. “Sfortunato quel paese che ha bisogno di eroi”, diceva Bertolt Brecht. Ancor più disgraziato quello, come l’Italia, che gli eroi li ha (e li ha avuti), ma non li sa riconoscere. E anzi, troppo spesso li perseguita anche. (Concludeva Chiocci).

Il buon Pietro De Leo, giornalista di punta de “Il Tempo”, il 30 aprile 2018 chiosa (e come dargli torto) il suo strepitoso pezzo su quella infausta giornata citando Curzio Malaparte: “L’Italia è sempre stata così. Una minoranza di gente seria, scontenta, delusa, di fronte a un popolo in miseria, nell’ignoranza, curvo sotto una banda d’ignobili profittatori, di cortigiani, di traditori, di vigliacchi, di sbirri e di preti, di bravi e di spie. Che come niente, spesso svende la dignità per la vendetta.”

Si dice che un popolo non muore per una sconfitta, ma quando si dimentica di essere popolo. Adesso è prono, servo, sodomizzato con le partite iva che sanguinano, gli esercenti allo stremo, la disoccupazione galoppante, eppure è silente. Solo con Craxi si è dimenticato di essere un popolo civile ed ha tirato fuori il peggio di sé, imbacuccato e ammaestrato da una stampa schifosamente faziosa in un clima infame da forche caudine, da vera e propria ghigliottina. E non ci sembra che Craxi abbia fatto chiudere attività, aziende, ristoratori e commercianti. Era l’operazione “Mani Pulite”, ovvero, come disse Reginald Bartholomew (non un coglione qualsiasi, ma l’Ambasciatore americano a Roma dal 1993 al 1997), “un pool di magistrati di Milano che nell’intento di combattere la corruzione politica dilagante era andato ben oltre, violando sistematicamente i diritti di difesa degli imputati in maniera inaccettabile in una democrazia come l’Italia, a cui ogni americano si sente legato. E se fino a quel momento il mio predecessore Peter Secchi aveva consentito al Consolato di Milano di gestire un legame diretto con il pool di Mani pulite, d’ora in avanti tutto ciò con me cessò”.

“T’è capì?”, direbbero a Milan.

Tiziana Parenti, che di quel pool ne fece parte, ribadì al sottoscritto (poi riportato su una recente pubblicazione) che: “benché il discorso è molto complesso, sono comunque giunta alla conclusione che il difficile percorso politico della cosiddetta Prima Repubblica, forse per una sua fragilità intrinseca, è andato facilmente in frantumi per un concorso di volontà ed interventi interni ed esteri che, attraverso una magistratura da decenni già ampiamente politicizzata, ha avuto gioco fin troppo facile ad annientare la storia della resurrezione democratica italiana e a rendere l’Italia permanentemente debole sul piano economico ed istituzionale. La storia la scrivono da sempre i vincitori, anche se alla fine, nel nostro Paese, in quel periodo, siamo stati tutti degli sconfitti!”

Tutti sconfitti! e “Titti la rossa” ne sa qualcosa. Messa all’angolo perché si era permessa di ficcare il naso laddove era meglio soprassedere; il gran magna magna degli intrugli cooperativistici sinistri, da sempre un pozzo senza fondo per Via delle Botteghe Oscure. In pochi però ricordano (o fanno finta di non ricordare) che Craxi è stato uno dei principali esponenti del riformismo italiano, colui che ha saputo trattare con le “Sante” mura Vaticane, che si è battuto per i 3 punti della scala mobile, che si è speso di più (l’unico!!!) per salvare la vita ad Aldo Moro, che ha sconfitto, unitamente a Dalla Chiesa, le Brigate rosse, che ha sostenuto l’importanza del pluralismo dell’informazione, che ha difeso a spada tratta il Made in Italy, che ha messo sul tavolo delle istituzioni le grandi riforme, che desiderava il tanto agognato Presidenzialismo, che chiedeva ripetutamente di rivedere il trattato di Maastricht, che ha saputo mediare per l’annosa questione mediorientale, che disse “SI!” alla Nato a Comiso con gli Euromissili (sfanculando con coraggio i sovietici e i comunisti italiani) e disse “NO!” a - niente meno che - Ronald Reagan a Sigonella, quando il californiano dagli occhi di ghiaccio era l’uomo più ingestibile del globo. Craxi dimezzò l’inflazione, ci fece uscire dalla palude dell’austerity e della solidarietà nazionale, creò stabilità e ci portò fuori dai drammatici anni delle revolver e dei miniassegni della disperazione. Era l’uomo del “Si può fare, si deve fare”, e gli anni Ottanta ne furono lapalissiana dimostrazione. Ricordiamoci anche che, dopo l’aumento del PIL italiano di uno stratosferico 18%, definito dal prestigioso settimanale britannico The Economist, con non poco stupore, un vero e proprio “gioco di prestigio statistico”, la piccola Cenerentola del Mediterraneo sorpassò per prodotto interno lordo addirittura il Regno Unito, attestandosi – di fatto – in sesta posizione tra le nazioni più ricche del pianeta. Se alla classifica togliamo Stati Uniti, Unione Sovietica e Giappone (appartenenti ad altri continenti), ecco che, la gloriosa Patria che fu terra natia di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigatori (e politici VERI), aveva di diritto conquistato (e meritato!), insieme a Francia e Germania Ovest, un posto d’ORO nell’Olimpo della vecchia Europa. E non è un caso se gli americani chiamavano quella indimenticabile stagione…: “The Craxi Year’s”, Gli anni di Craxi.

Oggi? Solo puttane. Non ci resta che piangere!  

Va da sé che, in un’epoca nella quale la rispettabilità (all’estero) del gotha istituzionale italiano è da considerarsi pressoché nulla, e in un’epoca nella quale ancora non si è compreso appieno quanto sia importante creare le condizioni per consentire ai cittadini di intervenire direttamente nella vita pubblica (e non considerarli AUTOMI), omaggiare un uomo che ha rappresentato – più di ogni altro – l’ultimo baluardo di sovranità nazionale e, oseremmo dire, dignità, non prostrandosi mai ai voleri dei mercati e delle potenze straniere, ed è stato vanto dentro e fuori confine per i suoi stessi connazionali, dovrebbe essere per tutti (e dopotutto) un dovere imperativo ed inalienabile. Ma qualcuno oggi ancora si chiede se dobbiamo qualcosa a Bettino Craxi. Ripetiamo per la centesima volta ciò che Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, uomo notoriamente di sinistra, ma intellettualmente onesto (uno dei pochi rimasti), affermò: “Craxi era colpevole. Nello stesso modo nel quale erano stati colpevoli De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa, Moro, Fanfani, Berlinguer, De Mita, Forlani… Sapete di qualcuno di loro condannato a 10 anni in cella e morto solo e vituperato in esilio? E’ giusto che un paese, e il suo popolo, riempiano di fango una figura eminente della propria storia democratica, come è stato Craxi, solo per comodità, per codardia, per “patibolismo”, deturpando la verità vera, rinunciando a sapere cosa è stato nella realtà il proprio passato? Io penso di no. Da vecchio anticraxiano penso che dobbiamo qualcosa a Bettino Craxi”.

Lo statista milanese muore il 19 gennaio di 21 anni orsono, nella cittadina di Hammamet, sulle calde sponde del Nord-Africa. La tomba è rivolta verso la sua Sicilia, quella di papà Vittorio, verso di noi, verso la sua Italia (in parte INGRATA!), sulla quale riecheggia solenne l’epitaffio: “La mia libertà equivale alla mia vita”. E non sarà certo lo zelo di alcune toghe impazzite o un metro di terra tunisina ad avvelenare il suo ricordo o le sue gesta, perché non so se ce ne siamo ancora resi conto, ma Craxi, la famosa battaglia della Storia e per la verità, l’ha bella che vinta!   

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