Dal corteo dei quarantamila alla solitudine, la classe media è sempre più povera e la politica fa orecchie da mercante  - Affaritaliani.it

Politica

Ultimo aggiornamento: 09:05

Dal corteo dei quarantamila alla solitudine, la classe media è sempre più povera e la politica fa orecchie da mercante 

Il campo centrista e moderato, che dovrebbe interpretare i bisogni della classe media, appare frantumato in una miriade di iniziative incapaci di diventare progetto comune

di Raffaele Volpi

La classe media è diventata "invisibile". Il commento 

Nell’autunno del 1980, quando quarantamila impiegati, tecnici e quadri della Fiat marciarono in silenzio per le vie di Torino, l’Italia scoprì che il conflitto sociale non era più soltanto una sfida tra capitale e lavoro operaio. Quella marcia sobria, senza slogan, rappresentò l’irruzione di un soggetto nuovo: la media borghesia produttiva, quella che teneva insieme i processi industriali, garantiva la continuità della fabbrica, ma che fino ad allora era rimasta invisibile nelle rappresentazioni politiche e sindacali.

Non fu una protesta per privilegio. Fu la rivendicazione di un ruolo. Quei quarantamila chiedevano semplicemente di essere riconosciuti, di avere voce. E con quel gesto incrinarono il monopolio della rappresentanza, aprendo un varco nella storia politica e sociale italiana.

A più di quarant’anni di distanza, quella immagine torna come un monito. Perché la condizione della classe media di oggi, pur in un contesto radicalmente mutato, ripropone in forme nuove la stessa invisibilità. I ceti medi italianiquadri aziendali, professionisti, artigiani, piccoli imprenditori, insegnanti, operatori nei distretti produttivi – sono ancora una volta senza rappresentanza.

Ma questa volta la loro condizione è più grave: non è soltanto mancanza di voce, è un impoverimento progressivo. I dati lo confermano: secondo le ultime elaborazioni dell’OCSE e dell’Istat, il reddito disponibile delle famiglie medie in Italia è cresciuto negli ultimi vent’anni molto meno della media europea, mentre la pressione fiscale resta tra le più alte. Oggi chi fattura non guadagna: il gettito Irpef grava in misura sproporzionata su lavoratori dipendenti e autonomi, mentre i benefici della spesa pubblica appaiono sempre più distanti.

Il risultato è una frattura sociale profonda. La media borghesia non è più quella forza che portava ricchezza e stabilità al sistema. È diventata invece una fascia fragile, spesso indebitata, che vive con timore la prospettiva del futuro. Le paure sono concrete: la mancanza di un ascensore sociale che garantisca ai figli un percorso migliore, la progressiva erosione dei risparmi, la perdita di valore del lavoro, non solo in termini economici, ma anche di soddisfazione.

Un tempo, il lavoro di un impiegato qualificato, di un insegnante, di un piccolo imprenditore, non dava soltanto reddito, dava orgoglio e dignità sociale. Oggi spesso non dà più nemmeno questo. Ci si ritrova a vivere senza nemmeno la gratificazione delle piccole cose: la certezza di un acquisto, il risparmio per un viaggio, la sicurezza di una pensione decorosa. È una borghesia che fatica a intravedere prospettive, e proprio per questo rischia di abbandonare ogni fiducia nella rappresentanza politica.

Il paradosso è che la stessa politica sembra essersi rassegnata a non darle voce. Il campo centrista e moderato, che dovrebbe interpretarne i bisogni, appare frantumato in una miriade di iniziative incapaci di diventare progetto comune. Così i ceti medi si ritrovano soli: troppo “ricchi” per essere destinatari di politiche assistenziali, troppo “poveri” per partecipare al gioco delle élite, troppo frammentati per imporre la loro agenda.

La lezione della marcia dei quarantamila è che quando la politica ignora i ceti intermedi, essi finiscono per farsi rappresentanza da soli. Allora fu un corteo silenzioso; oggi, in assenza di voce politica, il rischio è un esodo silenzioso: la rinuncia all’investimento, la fuga di competenze, la chiusura di attività, la disaffezione dal sistema democratico.

Ricostruire una rappresentanza della classe media significa allora ricucire la trama stessa della nazione. Significa alleggerire il peso fiscale, ma anche garantire controllo e trasparenza sulla spesa, affinché il contributo dei cittadini non sembri destinato a un pozzo senza fondo. Significa tornare a valorizzare il merito, restituire dignità al lavoro, ridare fiducia a chi, pur tra mille difficoltà, continua a credere nell’impresa, nella formazione, nella responsabilità individuale.

È in questo spazio che può trovare senso una politica nuova, federalista e liberale, che parta dai territori e sappia rispondere alle differenze produttive del Paese, senza abbandonare la solidarietà. Perché senza ceti medi non c’è equilibrio, e senza equilibrio non c’è futuro.

La marcia dei quarantamila resta un’immagine lontana, ma il messaggio è attuale: i ceti intermedi, quando sono ignorati, trovano comunque il modo di farsi sentire. La politica farebbe bene a non dimenticarlo.