Politica

Coronavirus e nuovo dopoguerra: ma della seconda o della prima?

Di Massimo Nava

 

Sempre più sentiamo dire “siamo in guerra” e nel futuro molti vedono  scenari da dopoguerra: l’Europa politicamente in macerie, milioni di disoccupati, economie in ginocchio, attività fallite, in attesa di un piano Marshall, ossia dei “corona bond”, se mai arriveranno. Le conseguenze del coronavirus potrebbero essere peggiori, oltre che inedite : non si è mai vissuta una situazione in cui tutto si è fermato e due miliardi di esseri umani sono costretti a casa. Durante la guerra, nonostante le bombe, le scuole, i bar e i ritrovi erano aperti, si poteva uscire, e le fabbriche, magari riconvertite a produzioni strategiche, funzionavano.

Come in guerra, i governi prendono in un’ora decisioni per le quali di solito non basterebbero anni di dibattiti. Intanto, esperti e intellettuali ripetono la seconda frase di moda, “nulla sarà più come prima”, il cappello di domande esistenziali e cosmiche : come saranno i rapporti interpersonali? Come muoverci? E’ la fine della globalizzazione? Andremo a teatro o allo stadio con le mascherine?

In attesa di una normalità che tarderà ancora per molto (inutile negarlo), è evidente il piano inclinato della politica e dell’informazione. Due comparti interdipendenti, ansiogeni e “contaminati” dal virus che ha “mutato” la vita politica e civile. Sono state diluite e azzerate molte forme della democrazia parlamentare. Il premier ungherese Orban l’ha ufficialmente sospesa. La Cina non ha nemmeno preso in considerazione l’ipotesi. A Roma e in molte altre capitali, premier e presidenti consultano qualche ministro, medici e virologi, e poi dettano le regole di vita di milioni di esseri umani che si riassumono in una sola : stare a casa. E’ più facile dire il poco che è concesso - fare la spesa, respirare, chattare - che fare l’elenco del molto che è vietato.

Stare a casa significa vivere in una bolla mediatica in cui la contabilità del virus, la politica del virus, l’economia del virus, rappresentano il mondo esterno. La delega della vita civile e politica e l’informazione ansiogena hanno prodotto il paradosso del consenso al manovratore, mediamente alto, nonostante qualche polemica, che riguarda l’efficacia delle decisioni e non la loro legittimità. Saremo presto disponibili ad accettare indagini a tappeto e controlli dei movimenti personali in rete. Si registrano improvvise evoluzioni di società compatte, solidali, mediamente disciplinate, quando si credevano fino a ieri rancorose, individualiste, conflittuali. Un nemico comune, unico e invisibile,  ci minaccia e al tempo stesso ci unisce nello stesso destino.

In attesa del vaccino, “Siamo in guerra” e “niente sarà più come prima” potrebbero voler dire essere guariti Int Paesi morti, sopravvissuti in una realtà virtuale, in balia dei giganti del web, di mercati finanziari e forme di potere e convivenza prodotte dall’emergenza sanitaria e ancora sconosciute. Nessuno è in grado di prevedere che cosa succederà quando ci ritroveremo più poveri in Paesi dissanguati. Già si percepisce un altro nemico comune : l’Europa, per la sua colpevole impotenza. E se l’Europa non risponderà all’ultima chiamata, avranno il sopravvento nazionalismi, frontiere chiuse, conflittualità politica, ostilità fra Paesi un tempo amici, debito pubblico insostenibile, domande di autorità e sicurezza, decomposizione del tessuto sociale.

Allora dovremo cominciare a chiederci di quale dopoguerra abbiamo parlato sinora, sperando che non assomigli a quello del primo conflitto mondiale. Si sa che cosa fu il « dopo ».