Politica
Draghi si è licenziato da solo, con il suo discorso al Senato

L'analisi del comunicatore Alessandro Amadori: col suo modo di comunicare, l'ex Premier ha finito per erigere un muro, invece che aprire una finestra
Il discorso di Draghi al Senato: un esempio di comunicazione poco efficace
Se la politica è l’arte della mediazione, e la diplomazia quella della risoluzione dei conflitti, è legittimo chiedersi, ora che l’avventura governativa di Mario Draghi volge al termine, in che misura il premier, nell’affrontare la crisi di governo che poi l’ha portato alle dimissioni, abbia dato prova di possedere un adeguato senso sia politico che diplomatico.
Una riposta almeno parziale la possiamo trovare analizzando il suo discorso al Senato, la mattina del 20 luglio 2020. C’è stata, nelle sue parole, volontà e capacità di mediazione e di composizione del conflitto che era sorto? In altre parole, in che misura Draghi si è avvalso di quel modello, chiamato “comunicazione non violenta” o CNV, che oggi è considerato come uno strumento fondamentale per arrivare alla composizione positiva di un conflitto, purché ce ne sia la volontà?
Come punto di partenza, ricordiamo il titolo del più famoso libro di Marshall Rosenberg, il padre della CNV: “Le parole sono finestre oppure muri” (a seconda di come vengono formulate). Titolo emblematico, che ci insegna che le parole hanno il grande potere di aiutare ma anche di ferire o di creare ostacoli a una comunicazione che, per essere efficace in un contesto conflittuale, deve innanzitutto essere empatica. Deve essere una comunicazione capace sia di esprimere correttamente i propri bisogni, sia di comprendere quelli altrui.
Fatte queste premesse, si può affermare che, nel suo discorso del mattino in Senato (e anche nella replica del pomeriggio), il presidente Draghi ha adoperato un modello di comunicazione che è molto lontano da quanto prescritto dalla CNV.
Si è infatti trattato di un discorso di 36 minuti in tutto, centrato su quattro elementi: 1) l’elencazione dei successi ottenuti, 2) l’elencazione delle cose da fare e la sottolineatura della loro urgenza, 3) l’elencazione dei problemi che, a suo dire, una maggioranza progressivamente più “sfilacciata” gli avrebbe creato, 4) una sorta di “ingiunzione” a ridare al governo una piena, e sostanzialmente incondizionata, fiducia. Il tutto si è completato, nel pomeriggio, con la richiesta di mettere al voto di fiducia la mozione Casini. In sostanza, come hanno commentato tutti gli osservatori, un vero e proprio “prendere o lasciare”.
Più precisamente, il 29% del testo del discorso di Draghi è stato dedicato all’elencazione dei successi ottenuti, il 12% alla “sfilacciatura” della maggioranza, il 54% all’elencazione delle cose urgenti da fare, e solo il 5%, per di più come detto nella forma di una sorta di “ingiunzione”, al possibile ri-coinvolgimento delle forze politiche in una maggioranza di sostegno.
L’applicazione di un modello CNV avrebbe invece dovuto avere una ripartizione di questo tipo: 20% successi ottenuti, 20% cose da fare, 20% problemi con la maggioranza, 40% coinvolgimento delle controparti e proposta di dialogo e mediazione.
In conclusione, dal punto di vista del modello della comunicazione, quello che si evince dalla struttura del discorso del premier Draghi è che lui, in partenza, forse voleva più erigere un muro che aprire una finestra. E il risultato è stato quello che ormai tutti sappiamo.