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Politica
Governo: dopo l’election-day, la palla in mano ce l’ha Conte, più di prima

Anche a freddo, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti, tentando di sminuire il bailamme interno ai rispettivi partiti e le possibili ripercussioni negative sul governo, esultano pur avendo perso voti alle regionali e insistono nel volersi intestare la vittoria referendaria del SI. Quel SI al taglio dei parlamentari che proprio un anno fa, ai primi di ottobre 2019, aveva ricevuto alla Camera il via libera definitivo con  una maggioranza bulgara del 98%! (553 SI, 14 NO, 2 astenuti) formata dai partiti di governo (M5S, Pd, Italia Viva, Leu) e dai partiti di opposizione (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia).

Quel SI che ha trionfato alle urne (con il 69,69% su una affluenza “minima” del 53,84% e comunque con i NO al 30%) grazie anche, o soprattutto, ai voti del centrodestra come dimostra l’analisi (Tecnè) riferita all’elettorato dei singoli partiti. Hanno votato SI il 78% (NO il 22%) degli elettori della Lega; il 75% (NO il 25%) degli elettori di Fratelli d’Italia; il 76% (NO il 24%) degli elettori di Forza Italia. Sul fronte opposto hanno votato SI il 95% (NO l’8%) degli elettori del M5S; il 45% (NO il 55%) del PD; il 23% (NO il 77%) di Italia Viva; il 42% (NO il 58%) di Sinistra italiana.

Se è così, significa che avendo i partiti di centrodestra complessivamente molti più voti del M5S, sono stati Lega, FdI, FI determinanti per la vittoria del SI, ancor più dei 5Stelle, partito uscito a pezzi dalle regionali e con una proiezione politica nazionale che li vede precipitare al 7% (Istituto Cattaneo). Lo stesso Zingaretti ha ben poco da gioire: il centrodestra non ha fatto cappotto ma ha espugnato una regione-cerniera baluardo della sinistra come le Marche (al centrosinistra restano solo 5 regioni contro le 15 del centrodestra) e sul referendum la maggioranza degli elettori del Pd ha votato NO, anche per le divisioni interne della dirigenza che sente sulla propria pelle la scontentezza della base per un partito succube del populismo e del giustizialismo dei 5Stelle.  

In questo quadro, bando ai facili entusiasmi. Serve affrontare con realismo e senso di responsabilità la fase post referendum, specie sul nodo della nuova legge elettorale che non può essere fatta ad uso e consumo dei singoli partiti e delle rispettive leadership. La vittoria del SI può comunque essere una occasione da non perdere per dare un segnale ai politici “inamovibili” e alla sclerotizzata politica del “palazzo”. Cosa vogliono e chi sono gli italiani che hanno votato SI? Molti di questi, delusi dalla malapoliticapagata sulla propria pelle, non ne possono più. Questi italiani si rifiutano di valutare i rischi delle sirene populiste dell’antipolitica  essendo certi, con quel SI, di aver inferto un duro colpo alla Casta, mandandone intanto a casa il maggior numero di rappresentanti, cominciando dalla testa, cioè dalle Camere. Un primo passo per procedere sulla strada delle riforme (a cominciare da quella elettorale), una dimostrazione che la rivoluzione “si può fare” non scardinando il sistema ma potandolo e ammodernandolo. C’è chi, però, ha votato SI convinto non di avviare una riforma costituzionale democratica ma di aver sparato solo il primo colpo in canna, pronti, con successivi assalti, a smottare tutta l’impalcatura democratica. Insomma, scardinare il sistema parlamentare e il sistema dei partiti intesi come intralcio, vecchi arnesi, roccaforti degli intrighi e del malaffare.

Dopo la vittoria del SI, il fondatore e animatore del M5S Beppe Grillo invitato al Parlamento Ue da David Sassoli, rilancia a caldo facendo a pezzi la democrazia rappresentativa: “ Non credo assolutamente più in una forma di rappresentanza parlamentare ma nella democrazia diretta, fatta dai cittadini”. E ancora: “Alle elezioni ormai ci va meno del 50 per cento, è una democrazia zoppicante. Si cominciano a prospettare scenari come l’estrazione a sorte, perché no? Perché non posso selezionare una persona con certe caratteristiche?”. Insomma, abolire il Parlamento sostituito da un referendum (settimanale? Mensile?) magari usando la… democraticapiattaforma Rousseau. Non è uno scherzo. E’ un richiamo a passati torbidi e tragici: al discorso di Mao del 1966 per avviare la “ grande rivoluzione culturale” cinese e al discorso di Mussolini alla Camera del novembre 1922 per la “fiducia” (“Un governo al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento”). Allora tutti tacquero. Si sa come finì.

Al Pd, al suo segretario Zingaretti, non basta fregarsi le mani per “averla scampata bella” nell’ultimo election day con Salvini solo apparentemente in braghe di tela (se si votasse oggi per le politiche il centrodestra vincerebbe con qualsiasi legge elettorale – Pagnoncelli -) e i 5Stelle ridimensionati, da mettere a cuccia. I nodi torneranno presto, molto presto, al pettine. La tenuta economica e sociale del Paese è a rischio. Dopo l’election day la palla in mano ce l’ha Conte, più salda di prima. Senza Conte la maggioranza si sfarina con Pd e 5Stelle di nuovo l’un contro l’altro armati. Serve, però, il cambio di passo. Tocca al premier uscire allo scoperto, far sentire sulla pelle della sua maggioranza lo schiocco della frusta, compiere scelte, non solo sul piano economico ma anche sulla democrazia rimettendo i punti sulle “i”: cos’è oggi la democrazia, cosa sono oggi i partiti e chi e come seleziona la classe dirigente, dove va l’Italia. Mediare è un’arte della politica ma inseguire equilibrismi solo per non cadere porta male. Per se stessi e per il Paese. La stabilità di un governo è un valore. Ma di troppa stabilità una nazione può morire. 

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