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Politica
Governo giallo-rosso compie un anno. Conte pronto per il “suo” partito?
(fonte Lapresse)

Un anno fa, il 5 settembre 2019, nasceva il secondo governo Conte, il premier passato disinvoltamente dalla maggioranza giallo-verde (M5S-Lega) alla versione giallo-rossa (M5S-Pd). L’obiettivo, cui tutto si sacrificava - anche la faccia - era quello di evitare che la destra marcata Salvini prendesse il potere cancellando tout-court le incompatibilità politico-ideologiche e le stilettatefra grillini e Pd. Salvini ha perso qualche penna ma la Lega resta nei sondaggi primo partito e nel Paese c’è  un vento di destra che spinge forte, verosimilmente – in caso di prossime elezioni – capace di produrre il ribaltone.

La capacità di mediazione e di comunicazione di Conte, costretto spesso al ruolo di saltimbanco per le divisioni fra i partiti di maggioranza e per le loro squinternate beghe interne, ha evitato il peggio, specie nei rapporti con la UE, ma è evidente che la “discontinuità” pretesa da Zingaretti per il Conte II resta una chimera. L’emergenza sanitaria ha accentuato la marcia indietro del ciclo economico, in forte recessione, destabilizzando le piccole e medie imprese con gravi danni per l’occupazione. Al contempo, data la situazione straordinaria, lo stesso Covid ha assicurato al Governo un ombrello protettivo che lo ha “coperto” in Parlamento e nel Paese consentendogli di tirare avanti pur senza un progetto politico strategico, con un pienodi statalismo e di assistenzialismo a pioggia e di crescita della spesa pubblica corrente. Dopo il periglioso giro di boa delle urne del 20 e 21 settembre il governo dovrà presentare una legge di bilancio “da tregenda”.

Con il Pil in recessione, con l’incubo Covid, con M5S e Pd impelagati nei loro giochetti di potereniente è scontato, compreso il ricorso al voto politico anticipato nella primavera del 2021 anche se il sano realismo dice che oggi in questo parlamento non c’è alternativa a questa maggioranza. Fa bene Conte a lasciare che le perenni beghe fra Pd e M5Stelle nonché le rispettive querelle interne siano solo “affari loro”, questioni di partito anche se, dal chiuso di Palazzo Chigi, s’odono i clangori di spade incrociate provenienti dai due principali partiti di maggioranza cui le urne fra due settimane potrebbero sancire un forte calo di consensi con conseguenze oggi imprevedibili.

Non avendo Conte un suo partito, non può giostrare come altri leader in passato utilizzando le sue pedine per ilgioco delle parti. Quindi si muove da solo, usando adesso la tattica dell’ascolto e del silenzio, mandando giù anche rospi, ben sapendo che ancor più critiche del fronte amico gli pioveranno addosso e che presto – dopo il 21 settembre - bisognerà cambiare musica e fors’anche musicanti, rimodulando la strategia politica alla luce della nuova realtà. E forse non basterà. Le regionali contano ma è il referendum la prova del budino, specie per i 5Stelle.

La bomba ad orologeria del referendum del taglio dei parlamentari può essere disinnescata solo se premier e  governo ne restano fuori, in assoluta neutralità, depoliticizzando sia il SI che il NO. Al centro e in periferia c’è chi, specie a sinistra e comunque nei partiti di maggioranza e zone limitrofe, carica la trappola, disinteressandosi del merito del referendum ma puntando a far vincere il NO per far saltare tout court Conte e la sua alleanza di governo, con l’implosione del Pd e dei 5Stelle. L’obiettivo è chiuderla conConte, il M5S, Zingaretti sostituendoli con nomi e partiti da tempo in agenda e già in riscaldamento in panchina. E’, sul fronte avversario e per motivi diversi, lo stesso obiettivo di Salvini e del centrodestra che con il voto delle regioni e del referendum vogliono destabilizzare governo e maggioranza puntando alle elezioni politiche anticipate.

Per non parlare di Renzi, già pronto ad alzare la posta e a stappare la bottiglia in caso di catastrofe grillina per un successo del NO, con il benservito di Conte e il ritorno a Palazzo Chigi – udite! udite! – del Cav di Arcore. Fantapolitica? Si vedrà. Il Paese boccheggia e senza i piani per ottenere i fondi UE sprofonda: di tutto c’è bisogno meno che di un vuoto politico. La missione di Conte non è quella di metter mano alle beghe interne dei partiti ma di non fa deragliare il Paese indicando un progetto di ricostruzione, una meta sicura. Può farlo con questo governo e con questa maggioranza?

Conte deve accentuare la propria identità politica, autonoma dai partiti, in primis dal M5Stelle, diventato per il premier una gabbia, solo zavorra. Espressione della miglior tradizione centrista-liberal-riformista italiana, Conte è una risorsa della politica italiana e come tale è chiamato ad agire. Come? Alzando le vele e puntando il timone in mare aperto. Con un “suo” partito. Sì, con il nuovo partito degli italiani.  E’ vero, come diceva il socialista Rino Formica, che la politica “è sangue e merda”. Ragione in più per la leadership di Giuseppe Conte, uno che può anche sbagliare ma ha ancora la visione eticadella politica.  

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