Politica
Governo, Salvini e Berlusconi “rilanciano”. Per Di Maio ultima chiamata?
L’incontro all’Harry’s Bar in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste fra Berlusconi e Salvini riporta il centrodestra unito in corsa per il governo
L’incontro di venerdì poco prima di mezzanotte all’Harry’s Bar in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste fra Berlusconi e Salvini non sarà ricordato nei libri di storia come quello di Teano fra il Re e Garibaldi ma riporta il centrodestra unito in corsa per il governo. Si torna al punto fermo, o almeno a uno dei punti fermi: la sfida non è all’interno del centrodestra ma con il centrosinistra, pur rimanendo valutazioni differenti fra Silvio e Matteo su questioni non secondarie, in primis sul M5S e sul Pd. Il ritrovato abbraccio fra Salvini e Berlusconi rimette in moto, oramai due mesi dopo il voto, le possibilità di un accordo in grado di sbloccare la situazione. Sarà così? Molti i dubbi. Ma riprovarci è d’obbligo: ciò vale innanzi tutto per il Paese ma anche per i destini del centrodestra e dei suoi capi. Il rais di Arcore sa che Forza Italia da sola si riduce a moccolo di candela con i rimasugli verso la Lega e con poche chance di un patto in zona Cesarini con Renzi, una mina vagante pur con un potere reale per i suoi parlamentari nominati e fedeli, quindi rilancia: “Il centrodestra è unito, nessuno lo dividerà. Vinceremo in Friuli Venezia Giulia e andremo al governo”, di fatto confermando ob torto collo la leadership di Salvini nella coalizione uscita in testa nelle urne del 4 marzo. Il capo della Lega torna così al centro della scena rilanciando: “O c’è un governo di centrodestra o non c’è nessun governo e si torna a votare anche prima dell’estate e vinciamo da soli”. Il Matteo del Carroccio forse dimentica che il 9 maggio si chiude la possibile finestra per votare a giugno. In tal caso l’alternativa è tornare alle urne dopo l’estate procedendo con un esecutivo per gli affari correnti e per approvare una nuova legge elettorale, obiettivo tutt’altro che scontato. L’ex Cav, politicamente indebolito, ritenta a modo suo lo schema a suo tempo vittorioso contro la gioiosa macchina da guerra di Occhetto ergendosi a paladino oggi per l’alt al M5S (che rispedisce la cortesia al mittente con il veto anti Silvio) come allora fu per l’argine alla sinistra. Il “socio” di Berlusconi, Salvini, pur chiudendo le porte al Pd, non annuncia crociate, riproponendo al capo dei 5Stelle la via d’uscita: “Di Maio faccia un bagno di umiltà e torni al tavolo con il centrodestra unito. Pd e Cinquestelle hanno zero possibilità di formare il governo perché è un accordo contronatura”. Da anni la politica fatta dai partiti “liquidi”, anti ideologici, padronali e personali, e basata sull’insulto e sulla demonizzazione dell’avversario inteso come nemico, produce ibride accozzaglie (anche sul piano istituzionale). Tuttavia in politica il concetto di “contronatura” è interpretabile, in funzione delle esigenze dei partiti e del Paese. Non era “contronatura” l’alleanza di governo fra Dc e Psi con il primo esecutivo di centro-sinistra nato nel 1963 dopo 9 lunghi anni di confronti/affronti? Non era “contronatura” l’apertura del “Compromesso storico” fra Dc e Pci (non per formare un governo con i comunisti ma per togliere il veto a possibili alternative di governo con il Pci dentro o fuori)? Di certo era politica, non fuffa. Il 18 novembre 1977 Aldo Moro ricordava che il dialogo trentennale con i comunisti all’opposizione era sfociato in una “non opposizione sul piano istituzionale” rivendicando però la caratterizzazione della Dc e del Pci “come partiti idealmente alternativi”. Prima dell’agguato di Via Fani Moro rassicura una Dc divisa e recalcitrante: “Non si va a una intesa incondizionata col Pci o, peggio, a una resa ideologica”. E pone il suo paletto: “E’ dovere reciproco di lealtà far comprendere quali sono i limiti al di là dei quali non possiamo andare. C’è l’impossibilità da parte della Dc di accettare che l’accordo introduca il Pci in piena uguaglianza, in piena solidarietà politica con altri partiti”. La Dc si salda. Il Paese e l’Occidente si rassicurano. Berlinguer non può tirare oltre la corda subendo l’onta del governo monocolore Andreotti. Altri partiti altri leader. Ma con un Paese, oggi come allora, sempre in gravi difficoltà, non solo economiche. Ben venga un accordo di governo con il centrodestra architrave di una coalizione aperta. Salvini gran “mossiere”? Sì, e perché no premier? Purchè l’abile Matteo non si limiti a giocare a rimpiattino. Vale sempre l’adagio: chi di tatticismo colpisce, di tatticismo perisce. E’ l’ora dei fatti che diano il segnale di una svolta. All’Italia non serve aria fritta, né tanto meno un esecutivo purchessia per dividersi poltrone e strapuntini. C’è spazio per un governo politico autorevole? Altrimenti subito alle urne!