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Politica

Tre ministre di troppo. Tre donne che prima o poi dovrebbero (condizionale d'obbligo) lasciare il governo. Almeno per il momento non ci sarà alcun rimpasto, su questo punto le fonti Pd e M5S concordano. Luigi Di Maio non ha alcuna intenzione di spostarsi dalla Farnesina al Viminale, dove Luciana Lamorgese ha la massima fiducia del premier Giuseppe Conte e delle forze di maggioranza. L'ipotesi Nicola Zingaretti ministro dell'Interno è stata smentita categoricamente dallo stesso segretario del Pd. Ipotesi che era nata dalla necessità di trovare un ruolo di peso al presidente della Regione Lazio nel caso in cui avesse deciso di entrare nell'esecutivo.

Dopo le elezioni regionali, però, salvo un clamoroso 5 a 1 o 6 a 0 per il Centrodestra che potrebbe portare alla fine del governo, il rimpasto tornerà necessariamente di attualità. Le tre ministre donne nel mirino sono Nunzia Catalfo, Lucia Azzolina e Paola De Micheli. La titolare del Lavoro è nel mirino per il caso del blocco dei licenziamenti, che sta facendo litigare fortemente sindacati e Confindustria, senza considerare il fallimento del reddito di cittadinanza per il sistema dei 'navigator' che di fatto non ha mai funzionato.

In uscita dal governo, entro la fine dell'anno, anche la ministra della Scuola Azzolina. Il ritorno in classe è ancora un'incognita, nonostante le quotidiane rassicurazioni della titolare del dicastero sulla data del 14 settembre. Nessuna certezza sugli insegnanti, per non parlare di quelli di sostegno per i bambini e per i ragazzi disabili, con la convivenza tra il ritorno a scuola in presenza e le regola del distanziamento sociale ancora in alto mare. Nel Pd e in Italia Viva cresce il malessere e la richiesta di sostituire l'Azzolina è sempre più pressante.

La terza ministra sotto accusa è la titolare dei Trasporti e delle Infrastrutture. La gestione del caso Aspi/Autostrade non è piaciuta né al premier né ai 5 Stelle e, anche per bilanciare la probabile uscita delle due ministre grillina, alla De Micheli potrebbe essere chiesto un passo indietro entro Natale per il bene del governo, dell'unità della maggioranza e per evitare una traumatica fine della legisaltura.

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