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Politica
I due Matteo mai così simili ma stavolta a rimetterci è Conte
(fonte Lapresse)

Matteo&Matteo, M&M, Salvini e Renzi. Spine nel fianco di Giuseppe Conte, rispettivamente, nel primo e nell’attuale esecutivo a sua guida. Così diversi eppure così simili. Entrambi incoronati dalle elezioni europee (l’anno scorso la Lega fu primo partito con il 34 per cento dei voti e nel 2014 il Pd di Renzi, con oltre il 40 per cento, ndr) ed entrambi vittime del bottino di consensi ottenuto che ha finito con l’orientare, o meglio disorientare, la loro strategia politica.

E’ stato così per Salvini che, convinto di poter passare all’incasso, all’apice del consenso e della spinta dei sondaggi, ha provocato la crisi del Conte uno nell’agosto del 2019. Salvo poi andare a sbattere contro la realtà e, quindi, dover accantonare il sogno di gloria delle urne e ritrovarsi all’opposizione. Ed è stato così per Renzi, dopo il suo passo indietro nel dicembre del 2016. Neppure allora, infatti, si andò al voto e il timone di Palazzo Chigi rimase in mano a Paolo Gentiloni per l’intera legislatura. I due Matteo, perciò, alla fine, hanno pagato pegno per le rispettive strategie politiche messe in campo. Un prezzo che in casa Lega si misura tangibilmente nel crollo del consenso, seppure il Carroccio resti sempre, almeno compulsando i sondaggi, il primo partito. Una caduta libera di appeal che vale ancora di più per Renzi. Italia viva, partito a cui l’ex premier ha dato vita dopo aver spinto per la nascita del governo giallorosso, non riesce proprio a emanciparsi dalla soglia del 3 per cento.

Solo che il senatore di Rignano questa volta i suoi calcoli pare averli fatti bene. Più che altro, è l’obiettivo finale che è cambiato e che non coincide affatto con quello accarezzato da Salvini dopo l’agosto del Papeete. La crisi minacciata nelle ultime ore in maniera sempre più baldanzosa non è infatti finalizzata al voto. Anche perché il leader di Iv, visti i numeri, avrebbe poco da guadagnarci. Un cambio in corsa di governo è, invece, davvero alla portata. Ed è a questo punto che si fa marcata la differenza tra i due Matteo. Perché a Renzi potrebbe riuscire ciò che a Salvini non è riuscito: liberarsi di Conte.

Parlamentarizzare la crisi, che è stata l’arma vincente del presidente del Consiglio, dopo lo strappo del segretario della Lega, adesso rischia di diventare la sua trappola. Ed è questa la pistola fumante del leader di Italia viva. Ed è per tale ragione che continua ad alzare la posta e a porre secchi aut-aut all’indirizzo del premier. Conta sul fatto che una verifica su un’eventuale nuova maggioranza, strada che il Quirinale non può non percorrere e sondare prima di arrivare all’ultima spiaggia di un voto anticipato, intorno, ça va sans dire, a un nome altro rispetto a quello dell’avvocato di Volturar Appula, darebbe sicuramente esito positivo. Che sia Mario Draghi, personalità in grado di raccogliere consensi bipartisan, che si tratti per esempio di una donna come il presidente emerito della Corte costituzionale Marta Cartabia o dello stesso Pd Lorenzo Guerini, non ha importanza: nel nome del “chiunque tranne Conte” ci sarebbe la fila dei “responsabili”. Anche perché nessuno, in questo momento, ha interesse ad andare al voto. Lo spirito di conservazione - dei seggi - è risaputo, in genere vince sempre. E a maggior ragione vincerebbe adesso perché col taglio dei parlamentari ciascuno è consapevole che uno scranno nella XIX legislatura non è per nulla scontato. E, poi, vuoi mettere lo spirito di sacrificio? Chi potrebbe mai tirarsi indietro di fronte a una buona causa quale sostenere il Paese alle prese con la pandemia e dare il proprio contributo affinché i fondi - mai così tanti messi a disposizione dall’Europa – del Recovery fund siano ben spesi? E chissà se, in questi termini, i due Matteo scopriranno una nuova sintonia. Con le “convenienze” parallele, in politica, può davvero succedere di tutto.

 

 

 

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