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Politica
Il male principale dell’Italia? Voler vivere al di sopra delle sue possibilità

Italia, governo e governati: a volte il problema siamo noi...

Non sempre gli articoli di Ernesto Galli Della Loggia sono preziosi, ma sempre meritano di essere letti, per sapere se bisogna sorriderne o levarsi il cappello. L’articolo del 27 novembre, sul “Corriere” (dal titolo “I partiti nel mare di parole”) appartiene piuttosto alla seconda categoria che alla prima. Anche se – a mio parere – è come un romanzo giallo che alla fine non rivela chi sia l’assassino.

Sostiene l’editorialista che l’interesse dei partiti per la Rai – e per chi comanda all’interno di essa – non è un semplice malvezzo o un optional, ma il riflesso di un’esigenza addirittura essenziale per la loro sopravvivenza. I partiti non hanno veri programmi e non hanno niente di serio da dire. Sicché, per sopravvivere, devono inondare la televisione di dibattiti identitari, di liti tanto accanite quanto inconsistenti, di promesse vaghe e irrealistiche, e soprattutto di una costante, irriducibile guerra di parole fra la destra e la sinistra. Perché questo soltanto induce la gente a credere che siano vivi.

Insomma, sostiene Della Loggia, non è che i partiti si presentino in televisione per dire che cosa pensano e che cosa propongono, ma si presentano in televisione per esistere. Se non vedessimo ogni giorno accapigliarsi sul nulla i loro rappresentanti, dimenticheremmo la loro esistenza e forse penseremmo che potremmo fare a meno di loro. I partiti sono in crisi di identità vera; di programmi veri; di proposte vere; vivono del loro apparire, delle loro pose gladiatorie in televisione, di programmi irrealizzabili, di proposte favolose di cui non si chiedono (e non ci rivelano) il costo. Sono delle mere facciate dietro le quali c’è il nulla. Prova ne sia che nessuno di loro si sente colpito dall’accusa di non avere realizzato i suoi programmi e le sue promesse: perché quelle che dicono sono soltanto parole buttate lì per fare uno spettacolo televisivo.

Fin qui l’articolo di Galli Della Loggia, sempre che io l’abbia ben riassunto. La tesi va apprezzata per il suo coraggio e per la sua radicalità. Infatti non è che l’autore accusi la destra e assolva la sinistra, o viceversa. Non è che accusi i partiti che sono al governo e assolva quello che è all’opposizione, o viceversa: non assolve nessuno. Ma dove lascia insoddisfatti, a mio parere, è nel non chiedersi il perché di tutto questo.

Negli anni che vanno dal 1945 al 1989 nessuno avrebbe potuto dire del Partito Comunista Italiano ciò che Della Loggia dice oggi degli altri partiti. Né avrebbe potuto dirlo della Democrazia Cristiana, non tanto perché “cristiana”, quanto perché la sua sostanza era quella di diga del Partito Comunista. Sicché almeno questa funzione aveva. Qualcuno era liberale sul serio, e i socialisti avevano ancora degli ideali. Dunque i partiti ci sono stati fino a quando ci sono state le ideologie. O almeno l’opposizione seria a certe ideologie. E che cosa è successo, in seguito?

È successo che, con il crollo dell’Unione Sovietica, è morto il comunismo; è morto l’anticomunismo; è morto il fascismo ed è morto perfino l’antifascismo, anche se qualcuno non se n’è accorto, mentre il socialismo – nella sua versione moderata – è stato portato alle sue estreme conseguenze, tanto da non poter raggiungere altri traguardi, se non negativi. Lo Stato si è dilatato a tal punto, e costa talmente, che non può più prendere iniziative serie senza il rischio di crollare sotto il suo stesso peso. Viviamo dunque un periodo di alibi, andando avanti a tentoni. Spendiamo follemente, facendo aumentare il nostro debito pubblico fino ad infastidire le stelle, ma anche in questo caso, pur in vista di un possibile crollo, nessuno sa o può proporre una soluzione alternativa. Da decenni si naviga a vista, sperando che la resa dei conti sia per domani, o ancor meglio per dopodomani. Scopando montagne di spazzatura sotto il tappeto.

È ovvio che i partiti non possano promettere – e ancor meno realizzare - niente di serio. La filosofia attuale è quella secondo cui lo Stato deve spendere molto più di quanto incassa per realizzare un programma semplicissimo: “Far vivere la maggior parte della popolazione non di lavoro, ma di sussidi”. Come possa realizzare questo miracolo non lo so, e non lo sanno neppure i partiti. Certo è che se uno si opponesse, invece di ricavarne consenso e voti, ne ricaverebbe rimproveri e forse la cancellazione dal panorama politico.

Si possono fornire alcuni esempi della situazione di totale stallo in cui viviamo. Ammettiamo che uno dei principali freni alla prosperità della nazione sia il peso del fisco. È concepibile renderlo molto più leggero? Certamente no, perché la gente non è disposta a rinunziare a nessuno dei servizi dello Stato, a nessuno dei pretesi vantaggi che offre. Allora ammettiamo che la prosperità del Paese venga ridotta dalle pretese e dai pregiudizi dei sindacati, quelli che permettono l’assenteismo ed altri “cancri” della produzione. Ma qualcuno è disposto, in Italia, non dico ad abolire i sindacati, ma almeno a ridurne il populismo, la demagogia, il disinteresse per il punto di vista economico della produzione? Assolutamente no. I sindacati sono intoccabili. Allora ammettiamo che il male principale dell’Italia sia il fatto che essa vive al di sopra delle sue possibilità, come dimostra il fatto che contrae costantemente debiti: la gente è forse disposta a ridurre il suo livello di vita? Assolutamente no.

Vale lo stesso per la competitività internazionale: siamo disposti a ridurre stipendi e salari? No. Vale per il costo dell’energia: siamo disposti a ridurre i nostri consumi, o almeno ad adottare massicciamente l’energia nucleare? Anche in questo caso, la risposta è un rotondo no. Ci lamentiamo dell’enorme peso delle nostre bollette, ci viene da piangere pensando a quanto ci costa il riscaldamento invernale, ma rimaniamo ecologisti, ci riempiamo la bocca di “transizione energetica”, di “decarbonizzazione” ed altre fanfaluche. Chiediamo al governo miracoli che non può fare e nel frattempo aumentiamo la quantità di quelle nubi che una volta o l’altra si tradurranno in nubifragio. Che cosa possono dire, i partiti, in un simile panorama? Le formule politiche sono esaurite, ed anche le formule economiche. Il problema non è costituito dai governanti, ma dai governati.

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