Guerra Iran-Israele, ecco come l'Italia si può ritagliare un ruolo di mediazione. Retroscena - Affaritaliani.it

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Guerra Iran-Israele, ecco come l'Italia si può ritagliare un ruolo di mediazione. Retroscena

Dai conflitti in Medio Oriente alla politica energetica fino al nuovo rapporto con i Paesi arabi: la postura di Meloni nella gestione della crisi internazionale

di Vincenzo Caccioppoli

Iran-Israele, la guerra e il ruolo diplomatico del governo Meloni 

Meloni svegliata di soprassalto alle 2 di notte, per la improvvisa accelerazione del conflitto in Iran, dopo l'improvviso intervento in Iran degli Usa, non si è certo persa d'animo, ed ha subito cominciato una fitta serie di colloqui con leader europei e mediorientali. Come è accaduto agli altri leader europei (fatta eccezione per Keir Starmer premier britannico, come da prassi storica per la special relationship tra i due paesi) non era stata avvertita preventivamente dagli americani. Poi ha convocato un immediato vertice con ministri coinvolti e intelligence e i due sottosegretari Mantovano e Fazzolari.

Il suo iperattivismo non è mancato nemmeno in una fase così drammatica come quella attuale, e cosa forse un po’ insolita, la premier ha avuto anche una lunga telefonata con la segretaria del Pd Elly Schlein, che forse è quella che esce peggio a livello politico, da questa improvvisa escalation del conflitto. La premier ha concordato con lei, secondo quanto si apprende da fonti di Palazzo Chigi, che il nostro paese debba giocare il suo tradizionale ruolo di storico mediatore nei conflitti nel quadrante mediorientale.

Un ruolo che purtroppo si è perso negli ultimi vent’anni, e che ora la premier sta faticosamente cercando di ricostruire. Il rapporto stretto tra il nostro paese e il Medioriente ha i suoi inizi, quando Amintore Fanfani, prima come segretario della Dc e poi nel suo governo dove tenne per sé la delega agli esteri, operò una piccola svolta rivoluzionaria, dando l’avvio ad una politica mediterranea e mediorientale che cerca un modus vivendi fra Israele e i Paesi arabi. È una politica di equidistanza che segue sia l’ispirazione di Giorgio La Pira, che dedicò gran parte della sua vita alla ricerca della pace in Medio Oriente, promuovendo il dialogo e la collaborazione tra i popoli della regione, sia la necessità di fornire sostegno e legittimazione istituzionale alla politica energetica dell’Eni di Enrico Mattei e al suo tentativo di rompere il cartello petrolifero delle «Sette sorelle», per acquisire fonti autonome di approvvigionamento di petrolio greggio. Il preambolo dell’asse Fanfani-Mattei avviene, nel ‘55, con l’elezione al Quirinale di Giovanni Gronchi, molto legato a Mattei.

È il Presidente della Repubblica a legittimare e a favorire la politica dell’Eni in Medio Oriente: Gronchi non si fa remore di impiegare il proprio ufficio per esternare le proprie vedute politiche e realizza con Fanfani un’alleanza programmatica in politica estera. La politica mediorientale di Moro assume coloriture ancor più filoarabe: paradigmatico è il rifiuto italiano di concedere agli Stati Uniti la base di Sigonella per trasferire una fornitura di aerei F-4 Phantom ad Israele, nei primi mesi del 1971. Dopo la guerra dell’ottobre ‘73, le minacce degli Stati arabi e la crisi petrolifera, in Italia il terrorismo palestinese sparge sangue: il 17 dicembre 1973 un attentato compiuto da settembre nero colpisce un aereo Pan Am all’aeroporto di Fiumicino: 32 i morti. Il 23 gennaio 1974, nel suo discorso alla Commissione Esteri del Senato, il ministro Moro afferma che Israele deve ritirarsi senza porre condizioni dai territori conquistati nel ’67 e auspica la tutela dei «diritti nazionali del popolo palestinese», che cerca migliori condizioni economiche e «una patria». Dopo questa parentesi negli anni 2000 con la recrudescenza del terrorismo, la posizione italiana perde gran parte della sua influenza nel quadrante mediorientale, lasciando la scena a nuovi attori internazionali, come la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan e la Russia di Vladimir Putin. Giorgia Meloni sembra voler assumere una postura differente con la riproposizione del Piano Mattei per L’Africa, riproponendo in qualche modo il vecchio schema di Fanfani e Gronchi.

Venerdì scorso si è svolto un importante vertice a Villa Doria Pamphili alla presenza della presidente della Ue Ursula Von der Leyen in cui sono stati siglati accordi per 1,2 miliardi di euro. In questo modo la premier sembra voler restituire all’Italia una parte di quella centralità nel nord Africa persa negli anni 2000. Il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi è quello secondo cui l’Europa deve riappropriarsi di quel rapporto speciale che ha sempre nella regione e che ha perso, per scelte sbagliate (basti solo pensare alla scellerata decisione di attaccare la Libia da parte dei francesi), ma che ora diventa essenziale dal punto di vista politico, economico e per il controllo dei flussi migratori.

Ma non solo. Giorgia Meloni sta anche cercando di aprire un nuovo dialogo con i paesi arabi, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, che sono storicamente rivali del regime iraniano e con l’emiro del Qatar, che invece in questi anni ha svolto un ruolo ambiguo nella regione, dal momento che è legato a doppio filo all’Iran per la gestione del più grande giacimento di gas naturale al mondo, il South Pars Gas Field, e per questo viene accusato di finanziare terroristi amici di Iran come Hamas e hezbollah, ma nello stesso tempo cerca di giocare un importante ruolo di mediazione nella regione. Il problema per il nostro paese e per la premier resta quella della sostanziale irrilevanza dell’Europa sullo scacchiere geopolitico internazionale.

Il fatto che la presidente della commissione sembra voler appoggiare gli sforzi della premier italiana sul piano Mattei a cui si stanno accodando molti premier europei, primo tra tutti il tedesco Friedrich Merz, è certamente un buon punto di partenza. La centralità europea potrebbe cominciare proprio a prendere corpo, partendo dal continente africano per poi allargarsi al Medio Oriente, che sta diventando sempre più la scheggia impazzita del nuovo ordine (o forse sarebbe meglio dire disordine) mondiale. Ed in questo contesto, piaccia o no, passa per forza di cose anche da un aumento delle spese per la difesa. Senza una difesa forte e coesa l’Europa sarà destinata per lungo tempo a rimanere alla finestra ed osservare quello che accade introno a sé.

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