Elly Schlein di lotta apre una fase nuova nel Pd, tra svolta identitaria e tensioni da gestire - Affaritaliani.it

Politica

Ultimo aggiornamento: 20:39

Elly Schlein di lotta apre una fase nuova nel Pd, tra svolta identitaria e tensioni da gestire

Alla Schlein serve il “sangue” per provare a smuovere le coscienze di quella fetta di astensione che non vota a destra, ma che non sopporta più il Pd

di Vincenzo Caccioppoli

Pd, la svolta radicale di Schlein che spacca i dem

Le durissime accuse che Elly Schlein ha rivolto alla destra di governo durante l’assise dei socialisti europei (“democrazia a rischio con la destra al governo” con un chiaro riferimento a quanto accaduto al giornalista Sigfrido Ranucci di report), aprono un nuovo capitolo della dialettica politica italiana, e rappresentano probabilmente un punto di non ritorno nella strategia del Pd.

Una strategia che forse, fa notare qualcuno, prende avvio nella testa della segretaria, quando Dario Franceschini, in un’intervista, data a Repubblica, lo scorso settembre, affermò che non è questo il tempo per i leader moderati.

E detto da lui, che ha fatto proprio della moderazione del dialogo una sua cifra politica, la cosa ha destato stupore e aperto il campo a interpretazioni anche un po' sinistre. “Quell’intervista è stata fraintesa. Franceschini ha solo detto che ci vorrebbe un leader come Giorgia Meloni che, certo, quando almeno era all'opposizione, non si poteva definire moderata per vincere le elezioni, ma poi bisogna pure governare. Il vero problema è che nel centrosinistra una come la Meloni non c’è”, dice un politico del Pd molto vicino a Franceschini.

Il Pd, o meglio la sua segretaria, avrebbe oltrepassato il Rubicone, come dice Antonio Polito, e ora tornare indietro forse non si può più. La frase per certi versi choc della segretaria, soprattutto perché detta in un consesso internazionale, segna un passo avanti importante nella radicalizzazione delle posizioni del partito.

Una posizione che, oltre a non portare, per il momento, risultati concreti dal punto di vista elettorale, rischia di alimentare ulteriormente i dissidi e i contrasti con l’ala riformista del partito. Ma la segretaria anche per “stanare” i suoi detrattori all’interno, si sarebbe convinta, spinta anche da due dei suoi più fedeli scudieri, Marco Furfaro e Igor Taruffi, che è arrivata l'ora di prendere il toro per le corna e affrontare i suoi rivali interni ed esterni in campo aperto, costi quel che costi.

Alcuni fanno notare come, poi, venerdì 24 ottobre a Milano, si terrà un appuntamento che la Schlein probabilmente avrà segnato col circoletto rosso sul calendario. Si tratta del giorno in cui la parte della minoranza dem che fa capo a Paolo Gentiloni e Lorenzo Guerrini si darà appuntamento a Milano.

Molti sostengono che possa trattarsi del primo passo verso la nascita di una vera e propria corrente, magari guidata proprio da Guerrini. Ci saranno tutti i big dei riformisti: Pina Picierno (che ha criticato l’uscita della Schlein ad Amsterdam) Giorgio Gori, Marianna Madia, Filippo Sensi, Simona Malpezzi, Lia Quartapelle, Graziano Delrio, Sandra Zampa, mentre Stefano Bonaccini, ormai ex capocorrente dei riformisti e ritornato all’ovile della segretaria, non sarà chiaramente della partita.

Tutti ovviamente negano che l’intenzione sia quella di dare vita a una nuova corrente, ma quello invece di aprire uno spazio culturale dove confrontarsi sui destini del Pd e del paese. È altresì chiaro che questa sua postura ancora più aggressiva e radicale sembra un messaggio diretto proprio ai riformisti. Lei ha vinto le primarie, proprio perché eletta dai cittadini e non dalla nomenclatura del partito e perché rappresentava una visione più radicale del vecchio e forse troppo paludato Partito democratico.

Lo schema a lungo raggio sarebbe, insomma, quello di provare a fare una sintesi tra la sua idea più radicale (per rubare magari qualche voto a 5 stelle e Avs) e quella invece moderata di Matteo Renzi e Stefano Bonaccini che dovrebbero invece convincere i moderati.

Schlein è nervosa e reagisce nell'unico modo che conosce attaccando la sua avversaria storica, una rivale a cui invidia soprattutto il fatto che lei sia la vera leader incontrastata della coalizione, mentre lei sente sempre più il fiato sul collo di chi invece vorrebbe che si facesse da parte, sia nel Pd che nella coalizione di centro sinistra”, dice caustico un ex deputato renziano.

Ed è per questo che per uscire da quello che comincia a essere un accerchiamento, lei ora vuole un autunno caldo e un inverno bollente (magari anche grazie alla sponda di Maurizio Landini) per arrivare alla primavera pronta a dare battaglia su quella che è la madre di tutte le battaglie, prima delle politiche: il referendum sulla giustizia.

Il senatore Andrea Giorgis, che sta seguendo la cosa per il Pd in commissione Affari costituzionali, è stato chiaro qualche giorno fa quando ha detto: “Dobbiamo lanciare messaggi semplici ed efficaci per far capire che la posta in gioco non è rappresentata dagli aspetti tecnici della riforma ma dal fatto che è un ulteriore passo verso la democrazia totalitaria, quella della destra, secondo cui chi vince può tutto”.

Alla Schlein serve il “sangue” per provare a smuovere le coscienze di quella fetta di astensione che non vota a destra, ma che non sopporta più il Pd (ma a giudicare dalle ultime elezioni men che meno quello suo “nuovo”).

A lei serve gridare all’allarme democratico che vuole instaurare la destra al governo. Il problema è che Giorgia Meloni, al contrario di Fico e Orban, per esempio, è considerata una delle leader più apprezzate ed autorevoli d’Europa e additarla proprio in Europa di essere antidemocratica potrebbe paradossalmente fare proprio il gioco di Meloni. Perché a Palazzo Chigi sono convinti che un’opposizione su posizioni troppe estremiste, non possa altro che fare il gioco del centrodestra.