Matteo Renzi, la “lezione” politica del ddl Cirinnà - Affaritaliani.it

Politica

Matteo Renzi, la “lezione” politica del ddl Cirinnà

Di Massimo Falcioni

Non è facile mettere insieme tanti errori su un’unica questione come hanno fatto fin qui il Pd e Matteo Renzi sul ddl Cirinnà. Non torniamo nei meandri di questo contrastato decreto sulle “unioni civili”, una legge che la realtà del mondo occidentale dovrebbe far considerare legittima anche nel nostro Paese, pur se gli italiani non la considerano una riforma prioritaria. Il dato politico della vicenda è che dalla gazzarra politica in corso emerge il flop del Pd, avvitato su se stesso, incapace di depotenziare il peso politico del ddl e di dargli un valore circoscritto alla  “coscienza”. A Matteo Renzi è toccata l’amara constatazione di non disporre più in Senato di una maggioranza autonoma neppure dopo le campagne acquisti nel campo berlusconiano e dintorni. Il classico scivolone sulla buccia di banana? Il limite del Pd renziano sta in una sregolata autoreferenzialità, sta nel fatto di voler considerare (anche) questa riforma “cosa  propria”, nuova medaglia da appendere sul petto del proprio governo in funzione del consenso elettorale, ritenendo ogni tappa parlamentare come una battaglia “di vita o di morte” e dove chi invoca la pausa di riflessione e il confronto è bollato come “gufo”, spesso un nemico o, peggio, un traditore.

Così, il Pd e Renzi sbagliano le misure nel soppesare i singoli episodi e i singoli atti, sia quando vincono sia quando perdono, mancando invece di valutare con obiettività e senso critico l’iter della loro azione politica complessiva. Se il ddl Cirinnà fosse stato considerato una “questione di coscienza” facendo valere solo la “propria coscienza” anche nel voto parlamentare non imponendo alcuna disciplina di partito, il Pd e Renzi avrebbero almeno salva la faccia e non saremmo in questo bailamme.
Sull’iter della legge i fatti sono noti. Spinto dal Partito Democratico al Senato con forzature sul filo di violazioni ed abusi del regolamento, invece di trovarsi la strada spianata, il ddl Cirinnà si è impaludato, privo dei numeri per l’approvazione, portando la maggioranza di governo a dividersi e sprofondando il Pd e Renzi nel “cul de sac”. Incidente di percorso, leggerezza tattica, ingenuità? Quel che è avvenuto è il frutto di una spregiudicata tattica parlamentare basata sulla logica del “bastone e della carota”, sul continuo rimescolamento delle carte dove gli inseparabili amici diventano gli acerrimi nemici e viceversa. E’ la logica del sistema tolemaico, con il Pd al centro dell’universo politico e queste sono le conseguenze.
Matteo Renzi viene dalla Democrazia Cristiana ma dov’è quel realismo politico, quella intelligente flessibilità politica cara ad Aldo Moro? La democrazia è pluralismo ed esige la capacità di cogliere le sfumature e la pazienza del compromesso mentre qui vige la politica dell’esibizionismo muscolare, del trasformismo, dei colpi bassi e dei colpi di spugna.

Il premier non ha dato priorità alla paziente cucitura di un accordo interno alla propria maggioranza e allo stesso Pd optando per la scorciatoia di una inedita alleanza esterna, a proprio uso e consumo. Questo per giocare su due o più tavoli, così da spuntare le velleità di Alfano&C e dare un segnale interno al Pd (stavolta agli ex diccì “sensibili” al richiamo della Cei di Bagnasco) barcamenandosi nella ricerca di nuovi alleati e cercando – come a suo tempo fece tragicamente Bersani - la mano dei senatori del M5S come se questi non dovessero sottostare al comando di Grillo&C poco interessati ai contenuti della proposta di legge sulle “unioni civili”, impegnati a seminare trappole sul percorso del governo con l’obiettivo principale - legittimamente come forza di opposizione - di far danni alla maggioranza e mettere ko Renzi. E adesso?
Dopo il rinvio chiesto mercoledì 17 febbraio dal Partito Democratico per evitare la debacle al Senato, martedì prossimo – come noto - il ddl sulle unioni civili torna all’esame dell’aula di Palazzo Madama dove non si sa chi ne uscirà davvero vincitore (anche se il fronte del “no” alla legge già festeggia) ma si sa chi, in mancanza di miracoli non annunciati, avrà le penne bruciate: il Pd. Il cerino acceso è in mano a Matteo Renzi costretto a rivedere la sua strategia a zig-zag: prima illuso anzitempo di poter esercitare l’arte del burattinaio portando in porto il ddl come ambito trofeo della nuova stagione riformatrice; adesso impegnato ob torto collo a ridefinire la legge e il quadro delle alleanze per evitare l’affossamento della Cirinnà e finire in un vicolo cieco. Tant’è che persino la Boschi, in zona Cesarini, prende atto che: “ Serve un punto d’incontro perché al Senato i numeri del Pd non bastano”. Ecco.

Il nodo Cirinnà, a due anni esatti dalla formazione del suo governo, diventa così per Matteo Renzi un segnale per una riflessione a tutto campo, forse un salutare campanello d’allarme per verificare il passo e la direzione.
Nel Paese non soffia la fiamma della protesta ma non è accesa neppure la scintilla della riscossa. Renzi fa bene a spingere per superare la curvatura del pessimismo che grava da anni sull’Italia priva tutt’ora del senso collettivo della sfida all’altezza dei tempi. Ma il coraggio politico senza l’equilibro, senza la mediazione, senza la partecipazione può diventare decisionismo di facciata, sterile velleitarismo, producendo fuffa, non fatti.  Su una legge come la Cirinnà si sente anche la mancanza del ruolo di un grande partito sul territorio capace di informare e di orientare la “base” e soprattutto di cogliere l’umore dei cittadini, accelerando o frenando l’azione del proprio partito al governo. Il cinguettio di Twitter non basta.   
Il rischio di un Pd come organismo di potere privo di capacità di confronto reale e di  “sintesi politica” non è campato in aria e lo si riscontra quando come in questo caso del ddl Cirinnà, i nodi vengono al pettine e la tenuta del governo è legata al filo sottile del trasformismo con la ricerca dei numeri, costi quel che costi, per tirare avanti alla giornata, per sopravvivere. Diceva, con arguzia curiale, Giulio Andreotti “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Spietato realismo del tempo che fu riproposto oggi dal “rottamatore” di Rignano d’Arno?
L’iter del ddl Cirinnà è un atto – non sarà l’ultimo - del teatrino della politica italiana, forte nell’annunciare grandi riforme e ancor più forte nell’affossarle. Servono fatti, buone notizie. Sulle unioni civili c’è spazio per un testo credibile e accettabile, nè punitivo per i diretti interessati né destabilizzante per gli altri, con una (nuova) maggioranza ampia che eviti al Paese il trauma di un nuovo referendum, suicida anche per il Pd, come a parti rovesciate fu per la Dc quello del 1974 contro il divorzio. Tocca a Matteo Renzi gestire il pallino dimostrando che la lezione è servita.