Politica
Meloni torna centrale nel rapporto tra Usa e Ue: interlocutore privilegiato per Washington
Meloni rafforza il suo ruolo di interlocutore privilegiato tra Usa e Ue, coltivando rapporti diretti con Trump e mantenendo prudenza su Gaza e Ucraina

Giorgia Meloni
Da Washington a Gaza, Meloni gioca un ruolo chiave nelle crisi internazionali
La telefonata di Donald Trump di venerdì scorso per sondare la disponibilità ad ospitare a Roma il vertice con Vladimir Putin, è stato il primo importante indizio, del fatto che l'amministrazione americana considera ancora la premier italiana e il nostro paese, l’interlocutore privilegiato all'interno della Ue. Al di là delle evidenti difficoltà ad avere un rapporto stabile con il presidente americano, la premier italiana avrebbe comunque in J.D. Vance, il vicepresidente, un incondizionato fan all’interno della amministrazione americana.
Il vicepresidente americano non è un mistero, non ha certo una grande considerazione dell’Europa e men che meno della presidente della commissione Ursula Von der Leyen, ma ha grande stima di Giorgia Meloni, che considera un interlocutore affidabile e una donna pragmatica e coerente. Un diplomatico di vecchio corso, qualche giorno fa, arguiva come Meloni attualmente sia considerato forse “Il problema è che Trump non ha nessuna stima di Macron né della Von der Leyen, mentre ancora conosce poco e non sa ancora come comportarsi con il cancelliere tedesco Merz.
Ecco allora che appare quasi inevitabile, per lui avere in Europa come principale interlocutore proprio Giorgia Meloni, verso la quale anche in pubblico ha apertamente sempre dichiarato di avere grande stima.” La novità emersa in queste ultime settimane, sarebbe quella che, dopo la Von der Leyen, anche gli altri leader europei avrebbero cominciato a riconoscere nella Meloni il ruolo di cerniera tra Usa ed Ue (malgrado esista ancora qualche piccola riluttanza francese del solito Emmanuel Macron). Meloni sta giocandosi la partita con grande acume e prudenza, sapendo bene che la materia Trump è delicata e occorre maneggiarla con grande dovizia di attenzioni per non rischiare di urtare la sua suscettibilità.
Ieri la premier italiana, dalla località greca dove si trova da qualche giorno in vacanza (ma non è escluso un ritorno a Roma nelle prossime ore per seguire da vicino gli sviluppi del vertice in Alaska) ha alzato il telefono per chiamare l’inquilino della Casa Bianca. Si tratta della seconda telefonata con il presidente Usa in pochi giorni (il 7 agosto era stato Trump a chiamarla per chiedere appunto disponibilità ad ospitare nella capitale italiana il vertice tra Usa e Russia).
Sempre venerdì scorso la premier aveva anche sentito Volodymyr Zelensky, e il Presidente degli Emirati Arabi Uniti, S.A. Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan. Segno tangibile che in lei non c’è assolutamente nulla di quella supposta sudditanza verso il presidente americano, di cui sarebbe invece vittima, secondo le opposizioni italiane.
L’impegno del governo italiano sarebbe volto, da quanto trapela da fonti di Palazzo Chigi, non tanto a cercare di ritagliarsi un ruolo di mediatore privilegiato per il nostro paese (cosa che in passato invece molti leader europei hanno fatto) proprio grazie ai buoni uffici di Trump, ma quello invece di farsi portavoce per coinvolgere l’Europa nelle trattative diplomatiche sull'Ucraina. Dopo il fallimento di fatto del cosiddetto formato dei “volenterosi” creato dal presidente francese, a cui la premier italiana in Albania non aveva polemicamente partecipato, è opportuno, secondo la premier, creare un fronte comune europeo che possa finalmente avere un ruolo forte nel nuovo contesto geopolitico internazionale.
In maniera più prudente ma con altrettanta caparbietà la Meloni sta agendo sulla crisi a Gaza. Ieri, la presidente del consiglio ha sentito sia il principe saudita e sia Abu Mazen, dopo avere condannato l'ipotesi di Israele di occupare Gaza. Con Bin Salman il colloquio è stato franco e cordiale, durante il quale i due leader hanno manifestato «preoccupazione per le più recenti decisioni israeliane che appaiono andare verso un’ulteriore escalation militare», ribadendo “l’opportunità di giungere, senza ulteriori ritardi, alla cessazione delle ostilità per porre fine alla drammatica situazione umanitaria della Striscia e avviare la ricostruzione di Gaza”, dove – ha puntualizzato Meloni – “il ruolo delle Nazioni arabe resta fondamentale”.
Mentre nella telefonata con Mahmoud Abbas, meglio noto come Abu Mazen, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, che avrebbe avuto parole al miele per lei, a quanto trapela da fonti di Palazzo Chigi, la premier italiana ha usato parole misurate ma nette: «La situazione umanitaria a Gaza è ingiustificabile e inaccettabile, serve un processo politico che conduca a una pace giusta e duratura”. L’azione del governo italiano cerca di non fare mosse azzardate e poco incisive al fine della descalation, come quella operata dalla Francia, che ha annunciato di voler riconoscere uno stato di Palestina, che nei fatti non esiste.
Palazzo Chigi pensa che per arrivare ad una pace giusta occorra la mediazione dei paesi arabi, nessuno dei quali si sarebbe, non a caso, accodato alla scelta di Macron e di alcuni paesi europei di riconoscere a settembre lo stato di Palestina. Ancora una volta quindi la premier italiana avrebbe dimostrato una lucidità in politica estera, che altri leader europei non sembrano avere, e questo viene riconosciuto non solo dalle decine di articoli che la stampa internazionale di mezzo mondo le sta dedicando da mesi, ma anche e soprattutto dai principali leader mondiali.
Che poi lei riesca nel miracolo di resuscitare un’Europa che in politica estera dimostra di essere caduta da anni in una sorta di catalessi, e che ormai pare aver perso credibilità ed autorevolezza, è discorso assai più complicato.