Grazie ai verbali desecretati è stato possibile determinare le responsabilità con chiarezza: la decisione di chiudere l’Italia intera è stata squisitamente politica. Come si evince dal documento sottoscritto dagli esperti lo scorso 7 marzo, ovvero il giorno prima dell’annuncio alla nazione del premier, il comitato non consigliava il lockdown, anzi addirittura suggeriva di limitare la mobilità solo in casi strettamente necessari e di continuare con la frequenza delle attività scolastiche e universitarie.
Più precisamente gli esperti chiedevano misure differenziate in base all’evoluzione della situazione, proponendo di rivedere la distinzione tra zone rosse (gli undici comuni stabiliti il primo marzo) e zone gialle (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e le province di Pesaro e Savona) e di definire due livelli di misure di contenimento. Uno da applicare nei territori in cui si è osservata una maggiore diffusione del virus, l’altro sull’intero territorio nazionale: ma è detto esplicitamente che le misure di contenimento dovevano essere più rigorose nelle zone colpite rispetto a quelle da adottare per l’Italia intera.
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