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Palazzi & potere
“Quell’Italia andreottiana collusa con Videla”: J’accuse di Vittorio Grimaldi

Nella classifica dei principali 50 studi legali italiani, pubblicata qualche giorno fa dai più noti quotidiani sulla base di uno studio curato da Legalcommunity, quello fondato e guidato da Vittorio Grimaldi è saldamente ancorato tra i 20 top, con un fatturato in crescita. Eppure Grimaldi, decano tra gli avvocati italiani specializzati in diritto internazionale e protagonista di tante stagioni cruciali nella storia recente del nostro paese, si sta togliendo lo sfizio di potersi trasformare in modo convincente in romanziere, narratore e battitore libero, senza peli sulla lingua. Il suo “Rio Belgrano”, uscito da poche settimane per le edizioni Clichy e presentato qualche giorno fa a Roma nelle sale della Società Dante Alighieri, rischia seriamente di diventare un best seller, di quelli appetiti prima dagli editori internazionali e poi magari dalle grandi produzioni cinematografiche.

rio belgrano   copie
 

La storia è la narrazione palesemente autobiografica di un intrigo internazionale in cui Vittorio Grimaldi ebbe davvero un ruolo, quando, all’inizio degli anni 80, da giovane e intraprendente avvocato si occupò, per conto di un nutrito gruppo di banche internazionali, di ottenere il ristoro dei prestiti elargiti al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi sulla base della garanzia assicurata, attraverso semplici lettere di patronage, dallo Ior di Paul Marcinkus. “La vicenda del romanzo – spiega lo stesso Grimaldi – è quella di un giovane avvocato che si trova a Buenos Aires durante la dittatura di Videla dal 1976 al 1982. Il protagonista è lì per finanziare con i fondi del Banco Ambrosiano la Giunta militare di quel gruppo di assassini comandati da Videla, ed è posto di fronte al problema drammatico della scelta tra la legge morale e il suo dovere professionale. L’educazione ricevuta poi nei collegi dei Gesuiti aiuta il giovane avvocato a risolvere il problema, ma siamo sempre ai limiti dell’infedele patrocinio. Finirà per aiutare, con l’aiuto dei Gesuiti, dei giocatori della Nazionale di Rugby, i cosiddetti Los Pumas, finirà per aiutare i rivoluzionari, utilizzando proprio i fondi del Banco Ambrosiano”.

La storia è incalzante: oltre che in Argentina, si svolge tra l’Italia, la Svizzera e l’Inghilterra, coinvolgendo i protagonisti della vita politica e delle cronache giudiziarie dell’epoca e intrecciando in modo convincente il dramma dei desaparecidos e le malefatte della P2, le omissioni dell’Italia andreottiana e la guerra delle Falkland, il terrorismo politico e le strategie degli 007 britannici. Grimaldi non risparmia accuse e ricostruzioni scomode: “Roberto Calvi, secondo la mia storia, è stato ucciso dai servizi inglesi per aver finanziato l’acquisto delle armi che servirono agli argentini, in particolare razzi, con i quali gli argentini affondarono molte navi inglesi nella guerra delle Falkland”. Indice puntato anche con l’establishment politico italiano, in qualche modo connivente con l’Argentina di Videla: “Gli ambasciatori italiani a Buenos Aires rifiutavano sistematicamente l’asilo politico agli argentini che scappavano da questo regime, soprattutto agli argentini di origine italiana che avevano addirittura diritto al doppio passaporto. Ma i diplomatici erano esecutori di ordini che sicuramente arrivavano dalla Farnesina”.

Una lettura appassionante che, una volta chiuso il volume, lascia la voglia di saperne di più e di capire come si evolvano le vicende dei protagonisti. E perché allora non sperare in un sequel?

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