Palazzi & potere
Renzi perde il pelo ma non il vizio: torna a drammatizzare il referendum
La strategia è chiara: il lavoro "sporco" lo faranno gli altri (in primis sodali e stampa straniera ma anche molti commentatori nostrani da settembre saranno abilmente "arruolati") mentre lui ne sfrutterà gli assist parlando nel merito e facendo promesse elettoralistiche...
Già prima di Ferragosto Matteo Renzi aveva dato una bella sterzata. «Ho sbagliato a dare dei messaggi, questo referendum non è il mio referendum, perché la riforma ha un padre che si chiama Giorgio Napolitano», aveva fatto mea culpa il premier alla festa dell' Unità di Bosco Albergati. E ancora, battendosi il petto: «Ho fatto un errore a personalizzare troppo, bisogna dire agli italiani che non è la riforma di una persona, ma la riforma che serve all' Italia». Ma adesso, scrive il Messaggero, sfruttando l' assist dei commentatori internazionali, Renzi rilancia. Decide di drammatizzare lo scontro referendario. Il voto di novembre sulla riforma costituzionale del Senato non deciderà il suo destino politico, ma quello del Paese. Quel voto diventa, secondo la narrazione renziana, lo spartiacque tra benessere e rovina, tra governabilità e instabilità perpetua, tra credibilità internazionale capace di garantirci in Europa una nuova dose di flessibilità (e dunque sforbiciate fiscali) e destabilizzazione con declassamenti e tempeste finanziarie stile 2011.