Politica
Referendum, "Ora riforme d'obbligo o tutti i dubbi saranno confermati"

Cuperlo (Pd) ad Affari: "I tempi sono stretti". Le Regionali? "Non vedo conseguenze sul governo e sulla segreteria di Zingaretti"
Dopo aver ufficializzato e motivato ieri, nel corso della direzione del Partito democratico il suo no al referendum sul taglio dei parlamentari, Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd, intervistato da Affaritaliani.it, va dritto al cuore della questione: "Se dovesse prevalere il sì, come molti preventivano, sarà obbligatorio lavorare per dare un assetto stabile al nostro modello istituzionale". Dal giorno dopo il voto, rilancia ancora il dirigente dem, "Il Parlamento sarà chiamato a misurarsi con un ventaglio di riforme senza le quali le preoccupazioni e i dubbi espressi da alcuni, ed è anche il mio caso, troverebbero ampia conferma".
Cuperlo, partiamo dall'ordine del giorno sul referendum votato ieri. La distanza rispetto ai voti raccolti dalla relazione del segretario Zingaretti è comunque una spia di disagio interno, non le pare?
No, quella di ieri è stata un'ottima riunione, positiva nel clima e nella qualità della discussione. C'è stato un grande rispetto delle posizioni espresse. Si è registrato un voto quasi all'unanimità della relazione politica del segretario.
Ma non è accaduto lo stesso sul referendum.
Sul referendum sono state espresse preoccupazioni in merito alle conseguenze derivanti da un taglio del numero di parlamentari in assenza, appunto, di un disegno compiuto dell'assetto futuro. Ma non c'è stata alcuna drammatizzazione né da una parte e né dall'altra.
Il voto distinto sulla relazione e sull'ordine del giorno non è stato una escamotage, un modo per nascondere il malessere interno rispetto alla riforma del taglio dei parlamentari?
Personalmente, ho apprezzato molto sia i toni del segretario Zingaretti e sia il metodo scelto. Il voto per parti separate, infatti, è proprio il segno di una volontà di apertura, di inclusione e di rispetto delle differenze di posizione.
Insomma, Zingaretti ha ammorbidito un po' la linea rispetto alla sua lettera a La Repubblica in cui si diceva stanco delle ipocrisie nascoste dietro il no al referendum?
Quella lettera conteneva alcune verità oggettive. A cominciare dal sostegno unanime incassato un anno fa alla nascita di questo governo. Dopodiché sul referendum ieri il segretario ha utilizzato parole equilibrate. Poi, può anche darsi che la destra forzosamente dica che vota sì al quesito e magari nel segreto dell'urna si esprima per il no, nel tentativo di affossare il governo. Da noi questo aspetto non c'è e ieri è stato riconosciuto. C'è un altro particolare importante, inoltre, a mio avviso.
Quale?
Questo referendum è diverso per il clima differente che si è creato rispetto alla riforma Renzi nel 2016 o alla riforma del governo Berlusconi del 2006. Si tratta di un appuntamento meno condizionato da pregiudizialità ideologiche. E lo dimostra, per esempio, il fatto che personalità autorevoli come i due presidenti emeriti della Corte costituzionale, Onida e Tesauro, abbiano posizioni diverse. Oppure che per il no al taglio dei parlamentari si siano pronunciate figure storiche del centrosinistra come Prodi o Castagnetti. Ecco, tutto questo dà la misura di quanto il dibattito sia più calibrato sul merito. E il clima di ieri costituisce un passo avanti. Piaccia o no, noi siamo l'unico partito che discute nel suo organismo dirigente e questo è un patrimonio.
Zingaretti è convinto che il sì al taglio dei parlamentari possa imprimere un'accelerazione alle altre riforme. Lei è scettico su questo?
Non c'è dubbio che se dovesse prevalere il sì, allora le altre riforme diventano obbligatorie. A cominciare dall'abbattimento della soglia d'età per l'elettorato attivo e passivo e dalla riduzione del numero di delegati regionali nella composizione della platea dei grandi elettori del Capo dello Stato. Ma bisognerà rivedere la base regionale per eleggere i senatori e i regolamenti parlamentari. E, naturalmente, fare una legge elettorale che possa garantire un nuovo legame, che in questi anni è mancato, tra rappresentanti e cittadini che li eleggono.
Ci si riuscirà, secondo lei?
I tempi sono molto stretti. Ecco perché rimango dell'idea che diverse riforme andavano fatte prima ed ecco perché il sì al referendum suona come una cambiale in bianco, senza garanzie su tutto il processo riformatore.
A proposito di rappresentanza, ieri, Di Maio ha sottolineato che tirarla in ballo sulla riforma del taglio dei parlamentari è una bugia.
Esistono dei dati oggettivi. Come ha evidenziato la fondazione Einaudi, con una riforma di questo tipo c'è il rischio che intere Regioni come il Molise, l'Abruzzo e la Basilicata, si ritrovino con una rappresentanza molto limitata nell'ambito del futuro Senato. Il M5s rivendica questa battaglia, è la sua bandiera, ma la verità è che si eleva la proporzione tra cittadini ed eletti. Dopodiché non è solo una questione di proporzioni numeriche.
Si spieghi.
La questione è che la rappresentanza è la capacità di trasferire nelle istituzioni un pluralismo di interessi e bisogni della società. Più si restringe e più questi ultimi vengono esclusi. E' vero, infatti, che la governabilità è un valore, ma essa stessa non esiste in assenza di una vera rappresentanza.
Quanto la posizione favorevole al referendum all'interno del suo partito è stata dettata dalla paura per la tenuta del governo?
Ieri in direzione uno dei passaggi chiave della relazione ha teso proprio a distinguere il giudizio sul referendum dalla sorte dell'esecutivo, insieme all'appello a immergersi, fino al prossimo 18 settembre, ventre a terra nella campagna elettorale per le regionali e le amministrative.
Le regionali, appunto. Questo appuntamento avrà ripercussioni sul governo?
Non faccio previsioni. E' evidente che ci sarà una lettura politica di quel voto. Ma non vedo conseguenze sulla tenuta del Conte due.
E su Zingaretti alla guida del Pd?
Neppure. Le campagne elettorali sono sempre difficili e bisogna impegnarsi. Come sta facendo il nostro segretario da tempo. E come abbiamo fatto lavorando fino all'ultimo ad alleanza larghe. Non sono state possibili, se non in pochi casi, ma l'appello al voto utile è stato importante. In tante realtà, gli elettori di quelle forze politiche con cui non è stato possibile trovare un accordo, infatti, sono più avanti dei propri dirigenti di partito.
E' vero pure, però, che in alcune realtà al voto, per esempio la Campania, c'è stato un irrigidimento del Pd sulle candidature. Lo ammette?
Ormai è un discorso fuori sincrono perché siamo in piena campagna elettorale, ma non è così.
Qual è la sua versione?
E' molto semplice: in Campania e Puglia avevamo governatori uscenti che si ricandidano. In Puglia, tra l'altro, Michele Emiliano a gennaio scorso si era sottoposto anche alle primarie. Questo per dire che ragionevolmente si cerca una candidatura diversa dopo il secondo mandato, come è successo in Toscana con Enrico Rossi, o quando si sono perse delle elezioni. Un po' come è avvenuto con la scelta di Arturo Lorenzoni in Veneto o di Ferruccio Sansa in Liguria.