Renzi ha perso il carisma. Farebbe bene a mettersi da parte - Affaritaliani.it

Politica

Renzi ha perso il carisma. Farebbe bene a mettersi da parte

Gianni Pardo

Il Pd sarebbe fortunato se cambiasse segretario e il nuovo fosse un uomo amabile capace di ricucire i rapporti con tutti

 

Con l’implosione dell’Unione Sovietica il Pci fu obbligato a trasformarsi, e alla fine, avendo annacquato le proprie posizioni estremiste, cercò di divenire inclusivo, fondendosi con la Margherita. Il partito che ne risultò aveva un’ideologia sufficientemente vaga. Era socialista ma non anticristiano, era utopico ma senza esagerare, e la sua azione risultava dalla conciliazione delle varie proposte. Divenne in sostanza  un partito socialista inclusivo.
L’arrivo di Matteo Renzi, insieme con l’inopinato successo del M5S, cambiò tutto. Morto il bipolarismo oggettivo Pd-Berlusconi, l’unico modo per avere il potere era costituire una coalizione: ma le coalizioni sono fragili e quella con Berlusconi era innaturale. Dunque l’unico modo per governare veramente era da un lato abolire il Senato, dall’altro cambiare la legge elettorale in modo che, essendo il partito di maggioranza relativa (con qualunque percentuale, anche il 28%) si ottenesse nell’unica Camera una confortevole maggioranza. Per esempio il 52%. Ecco perché Renzi teneva tanto a superare il referendum del 4 dicembre. Tanto che, per forzare il risultato, minacciò gli elettori di abbandonare la politica, in caso di sconfitta.
Purtroppo, per alcuni la sua minaccia fu una promessa. Il previsto plebiscito su di sé si trasformò in un giudizio impietoso. Forse a causa del suo eccesso di bugie e di presenzialismo, gli elettori trascurarono il merito della votazione e mirarono soltanto a scacciarlo da Palazzo Chigi. La cosa comunque cambiò totalmente il quadro politico e Renzi forse non lo capì. Pensò soltanto ad una battuta d’arresto. Non mantenne la promessa d’andare “a casa” e continuò a guidare il partito con lo stesso piglio di prima.
Non percepì che erano cambiate le regole del gioco. Prima un Fuoriclasse Vincente aveva conquistato il partito e stava anche per conquistare il potere assoluto sull’Italia. Era sgradevole - arrogante, bugiardo, sarcastico, prepotente – ma non badava al moltiplicarsi dei nemici che, eventualmente, avrebbe schiacciato come vermi. O fatto sparire dalla scena come Fassina e Civati. Meglio odiarlo in silenzio e, seguendolo, avere un posto sul carro del vincitore.
Con la sconfitta di dicembre il Senato non era abolito. L’Italicum non avrebbe superato lo scoglio della Corte Costituzionale. Non c’era più un premio di maggioranza, se non quello, inverosimile, ottenibile col 40%. A Palazzo Chigi c’era un altro Premier e non si sarebbe andati a votare in tempi brevi. Infine il proporzionale avrebbe reso indispensabili le coalizioni. Tutta un’altra storia.
Renzi forse non si rese conto di quanto la vecchia formula fosse inapplicabile. Ora bisognava ritornare a quel partito socialista inclusivo e plurale che si era avuto fino ai tempi di Enrico Letta e pensare alle alleanze. Invece lui continuava a comportarsi come prima, alimentando l’incontenibile irritazione dell’anima tradizionale e “comunista” del partito. Quella che ora per giunta non aveva più nessun serio interesse a rimanere nel Pd perché un giorno, entrando nell’indispensabile coalizione, avrebbe pesato di più dall’esterno che rimanendo all’interno. Il  Capo credeva di essersi liberato di fastidiosi oppositori, in realtà avrebbe dovuto temere che il suo predecessore come segretario del partito portasse via con sé l’anima e la bandiera dell’antico Pci.
Oggi l’identità del Pd sembra ridursi all’obbedienza a Renzi. Ma la sua straripante ambizione può sostituire il Comunismo e il Cristianesimo? Il Pci resistette per oltre quarant’anni alle smentite della realtà perché proponeva la rivoluzione, l’utopia dell’uguaglianza nella prosperità; un partito che ha come ideologia “voglio governare io” saprà fare altrettanto?
È vero, è avvenuto in passato. Ma il protagonista è stato o molto stimato e molto amato (Cesare, Augusto, perfino Mussolini, Atatürk o De Gaulle) oppure molto temuto, come Stalin, perché un orrendo criminale. Ma Renzi non fa paura e quanto a stima è molto mal messo. Se il Pd divenisse il Pdr, il Partito di Renzi, perderebbe la sua anima e la sua ragion d’essere. Se il governo avesse vinto il referendum, il partito sarebbe stato tenuto insieme dal collante del potere. Invece, nell’epoca delle coalizioni, l’essere soli e poco amati è quanto di più controindicato.
Il Pd sarebbe fortunato se cambiasse segretario e il nuovo fosse un uomo amabile capace di ricucire i rapporti con tutti, inclusi i fuorusciti. Bisognerebbe ricostruire quel Pd che comprendeva l’anima comunista e l’anima democristiana. Perché un partito unipersonale funziona soltanto se il capo è vincente ed ha uno straordinario carisma. Renzi il carisma se l’è giocato e attualmente il meglio che potrebbe fare per la sinistra sarebbe mettersi da parte.
Ma quell’uomo obbedisce al suo temperamento quasi fosse il suo Destino. Forse, emulo inconscio di Jean-Jacques Rousseau, reputa l’istinto una guida sicura. E non ci sono speranze che rinsavisca.

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