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Politica
Riforma del Mes, i numeri ci sono. Non più di 5-6 i dissidenti M5s

A poche ore dall’appuntamento con le comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, fissato per mercoledì 9 dicembre, alla vigilia del Consiglio europeo del 10 e 11, il pallottoliere continua a girare senza sosta. Il voto d’Aula darà pieno mandato al premier di trattare in Europa? E, se sì, con che scarto numerico? Il busillis rimane questo. I riflettori sono, naturalmente, puntati soprattutto sul Senato. Perché, si sa, nella Camera alta i numeri sono sempre più ballerini. E mai come stavolta i conti rischiano davvero di non tornare. Tutto dipenderà, senza dubbio, dal tipo di risoluzione di maggioranza che sarà approntata. E le call si susseguono da giorni alla ricerca di un punto di caduta in particolare sulla riforma del Mes. Si lavora per trovare una quadra, insomma, che possa da un lato arginare - difficile azzerarlo del tutto - il dissenso tra le fila del M5s, ma anche non scontentare gli altri alleati di governo, a cominciare da Pd e Italia viva che, da parte loro, resistono di fronte alla prospettiva di vedere annacquata completamente la risoluzione.

In questa cornice, a Palazzo si fa di conto. Seppure i più siano convinti che i numeri alla fine ci saranno e che, quindi, una crisi di governo sarà scongiurata. I numeri, appunto. E, in particolare, quelli che potrebbe racimolare la risoluzione di maggioranza. A scanso di equivoci, va subito chiarito che questo voto non richiede la maggioranza assoluta, che al Senato è fissata a 161, come, invece, era richiesta ad esempio sullo scostamento di bilancio. Tra astensioni e assenze strategiche, dunque, alla fine il disco verde potrebbe arrivare senza grossi problemi. Ma incassare un via libera rabberciato sarebbe comunque una spia rossa sullo stato di salute della maggioranza che regge il Conte due.

Sulla carta sono 150 in tutto i senatori dei partiti di maggioranza: 92 tra le fila del M5s, 35 tra quelle del Pd e poi ci sono i 18 parlamentari di Italia viva e i cinque di Liberi e uguali (Gruppo Misto). A questi 150 però, ne vanno aggiunti almeno altri nove -dieci iscritti sempre al Misto (incluso il senatore a vita Mario Monti) e i nove delle Autonomie (tra le cui fila c’è un altro senatore a vita e cioè Elena Cattaneo) che, in genere, non fanno mai mancare il loro sostegno al governo. In tutto, perciò, la maggioranza al Senato oscilla tra i 168 i 169 voti. Sullo scostamento di bilancio, l’ultimo voto importante che si è tenuto in Aula a Palazzo Madama,  la maggioranza si è fermata a quota 163. “Un numero difficile ma non impossibile da raggiungere anche sulla risoluzione che sarà votata in Aula dopodomani, se ci si vuole esercitare nel far di conto - racconta ad Affaritaliani.it una fonte dem -. Sempre tenendo a mente, però, che mercoledì servirà la maggioranza relativa e non assoluta dei voti. Certo, l’incognita Movimento cinque stelle rimane, ma alla fine sono convinto che tutto filerà liscio”.

Ipotizzando di aver davanti il tabellone luminoso, le luci verdi del M5s quasi sicuramente non saranno 92 perché, appunto, i pentastellati non voteranno in maniera compatta. Qualche no alla risoluzione tra i Cinque stelle è stato messo in conto da chi ha in queste ore ha il borsino in mano: non saranno 16 no - tanti quanti i senatori-autori (insieme ad altri 40 deputati) della lettera inviata ai vertici del Movimento per mettere nero su bianco la loro contrarietà alla riforma del Mes -, ma cinque o sei sono dati quasi per certo. Tra gli irriducibili ci sarebbero Barbara Lezzi, Elio Lannutti, ma pure Mattia Crucioli, Orietta Vanin e Laura Granato. “Poco male - ragiona ad alta voce chi compulsa il pallottoliere -: per cinque o sei voti in uscita ce ne sono quasi altrettanti in entrata”. E, in effetti, ai 15 senatori del Misto (inclusi i 5 di Leu e i 3 di Cambiamo, Massimo Berutti, Gaetano Quagliariello e Paolo Romani) e ai 9 delle Autonomie, va sommato anche il voto di Andra Cangini. Il senatore di Forza Italia, in un’intervista al Giorno, ha infatti annunciato che voterà a favore della riforma del Mes, in dissenso rispetto alla linea dettata dal leader Berlusconi. E oltre a Cangini, tra le fila azzurre a palazzo Madama, ci sono pure i tre senatori Udc Paola Binetti, Antonio de Poli e Antonio Saccone. Già così, insomma, i sì dovrebbero oscillare tra 168 e 169. Potrebbero esserci delle astensioni, come è già accaduto ad esempio con la posizione tenuta da Emma Bonino (+Europa) o da Matteo Richetti (Azione) sullo scostamento di bilancio, ma questo cambia poco ai fini della tenuta numerica, dal momento che l’astensione al Senato non vale più come voto contrario.

Certo, è vero pure che nel M5s la situazione è ancora molto fluida e, dunque, la pattuglia dei contrari potrebbe ingrossarsi nelle prossime ore: “Tutto dipenderà dalla negoziazione messa in campo - racconta una fonte che conosce bene le dinamiche interne al Movimento -. Il negoziatore, e cioè Vito Crimi, fino a ora o ha sbagliato strategia o ne ha seguita una tutta sua. Una cosa è sicura, più i vertici terranno un atteggiamento da ‘bulli’ e più le posizioni si irrigidiranno”. Al momento, insomma, l’unica certezza è data da chi farà mancare il suo appoggio a Conte e, quindi, non darà al premier nessun mandato di trattare in Europa la riforma del Mes. E tra questi si contano, oltre ai senatori di centrodestra (63 della Lega, 18 di Fratelli d’Italia e i rimanenti 50 di Forza Italia), anche i tre ex M5s, Gianluigi Paragone - che ha fondato tra l’altro il nuovo partito Italexit - Carlo Martelli e Michele Giarrusso.

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