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Prezzi folli e imprese ko: la recessione in arrivo già da metà 2024
(Fonte immagine: Pexels) 

Recessione, inflazione e tassi di interessi: ecco che cosa sta succedendo 

Uno dei miei film preferiti è L’uomo dei sogni, la pellicola del 1989 basata sul romanzo Shoeless Joe. La storia di fantasia è incentrata su un agricoltore del Midwest, il quale sente una voce che lo ispira ad arare il suo campo di mais per costruirvi un campo da baseball, in modo che i fantasmi delle leggende del baseball possano risorgere e tornare a giocare ancora per una volta.

Una parte del film con cui mi sono sentito particolarmente affine a livello personale negli ultimi mesi è l’ostinata convinzione e determinazione di Ray Kinsella (interpretato da Kevin Costner) nei confronti della realizzazione del progetto del campo da baseball e nel seguire le voci di chi gli dice “se lo costruisci, lui tornerà” e “va’ fino in fondo”, nonostante quasi tutti gli ripetano che è matto e che potrebbe perdere la fattoria per pignoramento se non cambia direzione.

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In TCW, la stessa tipologia di dubbio permea le nostre attuali prospettive di investimento, in quanto il nostro quadro di valutazione dei cicli economici e dei tassi di interesse basato sul valore ci sta dicendo di preparare i portafogli a una recessione economica e a un’inversione del ciclo dei tassi, nonostante le voci del mercato che ci circonda ci dicano che stavolta è diverso, perché la Fed ha architettato quel raro atterraggio morbido che farà sì che l’inflazione si calmi magicamente fino al target del 2%, senza perdere posti di lavoro e senza l’allentamento del mercato dell’occupazione.

Come Ray Kinsella ha visto i fantasmi di Shoeless Joe Jackson, Mel Ott, Gil Hodges, e “Smoky” Joe Wood, così li stiamo vedendo anche noi. I nostri, sono i fantasmi delle recessioni passate: il fantasma della crisi finanziaria globale del 2008-2009 (GFC), il fantasma del post schianto del NASDAQ del 2001-2002, il fantasma della crisi Savings and Loan/guerra in Iraq del 1990, il fantasma indotto dalla pandemia del 2020 e persino i fantasmi Volcker delle gravi recessioni, una attaccata all’altra, all’inizio degli anni ‘80 per combattere l’inflazione a due cifre. Tutti fantasmi con una connessione comune, ossia tutti preceduti da cicli di inasprimento della Fed, quasi tutti meno aggressivi di quest’ultimo.

I fattori a sostegno di uno scenario di “atterraggio morbido” non sono forward-looking

E allora, come mai solo noi stiamo vedendo i fantasmi della recessione? Come mai sembra che nessun altro li veda? La risposta più semplice è che c’è una forte spinta psicologica da parte degli investitori e dei partecipanti al mercato a sposare una visione che sembra corretta al momento, chiamata anche “recency bias” o “momentum investing”. Sono moltissime le evidenze recenti che forniscono elementi in tal senso al popolo dell’atterraggio morbido: da inizio anno le azioni sono in rialzo a doppia cifra e alcuni indici azionari sono prossimi ai massimi storici; gli spread del credito Investment Grade e High Yield sono al di sotto delle medie a lungo termine; secondo le previsioni, il Pil del terzo trimestre sarà tra il 2% (minimo) e il 5% (massimo); il Consumer Price Index e il Producer Price Index sono calati significativamente rispetto ai massimi del 2022; l’inflazione è diminuita, mentre l’occupazione netta ha continuato ad aumentare e la disoccupazione rimane vicina ai minimi record; Il prezzo delle abitazioni, uno dei settori economici più sensibili ai tassi, si è stabilizzato malgrado l’aumento di oltre il 7% del tasso dei mutui.

Tutti argomenti reali e inconfutabili in termini di ciò che è accaduto e di ciò che sta accadendo ma che non aiutano necessariamente a determinare cosa accadrà. Noi, dal canto nostro, grazie a una visione prospettica a più lungo termine, capiamo come i tassi di interesse interagiscano con i mercati del credito e l'economia per portare un comportamento autocorrettivo (che inverte la media). La complessità sta nell’estrema difficoltà di predire le dinamiche e le tempistiche esatte di come questo si manifesterà. Una crisi imprevista accelererà in diverse occasioni il drenaggio di liquidità e lo spostamento di capitali, mettendo sotto pressione i debitori e provocando una riduzione degli investimenti, della spesa, delle assunzioni e, infine, una recessione.

Che siano catalizzati o meno da un evento, gli scarti tra la politica monetaria e il conseguente impatto economico sono “lunghi e variabili”; e in questo ciclo ci sono alcuni fattori che potrebbero inclinarli nella direzione più lunga: i risparmi legati alla pandemia - $2-3 mila miliardi in totale - hanno fornito ai consumatori molto capitale per compensare l’impatto dei tassi di interesse più elevati; nel periodo 2020-2021 i proprietari di case/mutuatari avevano bloccato i mutui a tasso fisso e con cedola bassa (2-4%), senza essere soggetti allo shock immediato nei pagamenti nel momento in cui i tassi di interesse sono aumentati, a eccezione di chi ha cambiato casa.

Anche le imprese, a livello generale, nel periodo post-pandemico avevano bloccato debiti con cedola bassa e stavano gestendo i livelli debitori in modo conservativo (la leva finanziaria non era ai livelli di picco all’inizio del ciclo di rialzi); le imprese del terziario, che hanno avuto difficoltà ad assumere lavoratori durante la pandemia, sono state più lente nel licenziare i dipendenti rispetto ai cicli precedenti a fronte di una contrazione dell’offerta di lavoro correlata al Covid.

Tutti questi fattori hanno attutito l’impatto immediato dei tassi più alti, incidendo tuttavia solo sul momento dell’impatto sui mutuatari e non sul se lo avranno o meno. Crescono i segnali di un esaurimento dei risparmi legati alla pandemia - saldi più bassi per assegni e risparmi, aumento delle insolvenze su carte di credito e prestiti per auto - e del fatto che le imprese, sotto pressione per le spese maggiori, sono sempre più spesso obbligate a tagliare i posti di lavoro (i licenziamenti annunciati sono in aumento, mentre l’offerta diminuisce).

Le aziende con debito a bassa cedola dovranno affrontare la resa dei conti del rifinanziamento man mano che il muro delle scadenze, in particolare per i mutuatari high yield sensibili ai tassi, si avvicina. Senza contare che gli standard dei prestiti bancari si stanno inasprendo, in quanto i profitti rimangono schiacciati dalla curva dei rendimenti invertita e dai margini di interesse netti inferiori. La recessione sta arrivando, solo che non sappiamo esattamente quando. La nostra ipotesi migliore sarebbe la prima metà del 2024.

Rendimenti Treasury a due anni più attraenti di scadenze più lunghe

Sul fronte degli investimenti, cominciando dalla parte del mercato con il rischio più basso, è da notare che i Treasury a 2 anni attualmente rendono circa il 5%. Dovremmo tornare indietro di oltre 15 anni (fino al 2006-2007) per trovare rendimenti superiori al 5%; e prima ancora, al 2000. Inoltre, i rendimenti dei Treasury a due anni sono più attraenti rispetto ai Treasury con altre scadenze. L’inversione della curva dei rendimenti (rendimento a 10 anni inferiore a quello a 2 anni), pur non essendo esattamente ai massimi (minimi) del ciclo a -70 punti base (bp), non è lontana. Oltre all’HY, il potenziale di aumenti di prezzo eccessivi man mano che questo rapporto si normalizza (rendimenti a 10 anni superiori a quelli a 2 anni) rende i Treasury a 2 anni particolarmente interessanti.

C’è inoltre un settore sensibile ai tassi di interesse che negli ultimi due anni ha sottoperformato altri segmenti dei mercati del reddito fisso: i titoli di agenzie garantiti da ipoteca (MBS). A causa di una combinazione di fattori (volatilità dei tassi di interesse, QT della Fed, inversione della curva dei rendimenti che incide sulla domanda da parte delle banche), gli spread degli MBS di agenzie sono vicini sia ai massimi storici (quasi l’1,8% in più rispetto ai Treasury comparabili) sia a valutazioni storicamente basse rispetto

alle obbligazioni corporate. Mentre l’economia rotola verso la recessione, i tassi di interesse scendono e la curva dei rendimenti si inasprisce, gli MBS di agenzie dovrebbero ottenere ottime performance, in particolare rispetto alle parti sensibili ai default e a livello economico dei mercati del credito.

Articolo a cura di Stephen M. Kane, gestore del TCW Core Plus Bond Fund, TCW* 


 

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