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Roberto Da Crema, Il Baffo: "In carcere pensavo che sarei morto". Il racconto

di redazione

Era stato arrestato nel 2003 con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Poi la rinascita

"Ho sbagliato, anche molto, e lo ammetto"


Era stato arrestato nel 2003 con l'accusa di bancarotta fraudolenta, ora Roberto Da Crema, detto Il Baffo, è l'addetto al marketing di un'azienda che guida 5 magazzini sparsi per la Lombardia con i suoi figli Valentina e Moris. Insieme hanno 68 dipendenti e un fatturato di 20 milioni di euro l'anno. In una recente intervista ha raccontato la sua carriera da venditore, il debutto in tv, le lacrime in carcere e un nuovo progetto.

«Ho sbagliato, anche molto, e lo ammetto», ha affermato Da Crema, detto Baffo, al Corriere di Milano. Le sue parole hanno dato inizio a numerosi commenti e dibattiti tra i lettori. Roberto, negli anni Ottanta, è stato uno dei pionieri della televendita in Italia, si è dato al canto e al cinema ed è comparso in Camera Café, Pomeriggio Cinque e La fattoria. Oggi è nuovamente l'imprenditore che era prima del carcere: con la figlia Valentina possiede 5 magazzini tra la Brianza e Brescia. Oggi, in questi negozi, ci va di persona ogni volta che i manager ne hanno bisogno o si sentono demotivati: «Nelle ore di punta mi avvicinano anche cinque, sei persone alla volta: diventa impegnativo», dice.

L'intervista si è tenuta proprio in uno di questi: 2 mila metri quadrati dove si trovano oggetti di vario genere a prezzi bassissimi (pigiami, coltelleria, alimentari, quaderni e decespugliatori). Non è più lui ad andare dai clienti, sono loro a entrare nei suoi negozi. Intanto, è stato anche chiamato nelle università per insegnare agli studenti i segreti del marketing. 

Ma anche lui non ammette di essere stato fregato da qualche rivenditore: «Avevo puntato una Porsche del 1984, vintage, una cannonata. Un’ora dopo averla pagata sono in autostrada sulla Milano-Brescia e resto a piedi: rotto il cambio. Il guasto mi è costato 8 mila euro, la macchina l’avevo pagata 16 mila».

Sul periodo in carcere, confessa: «Piangevo continuamente. Pensavo che lì dentro sarei morto: dove sono finito, perché? Il senso di vergogna era un macigno. È saltato fuori che anche in carcere mi conoscevano, ricevevo inviti a pranzo. C’era un detenuto che scontava l’ergastolo, le guardie mi chiamano: vorrebbe chiacchierare un po’ con te, sei famoso». Quando è uscito dalla sua cella, è stato chiamato da Lele Mora per un evento in una discoteca di Brescia. «Temevo che mi lanciassero pomodori, ma ci sono andato: dovevo riprendere a lavorare». 

Oggi, dopo 21 anni, c'è un nuovo progetto che bolle in pentola: «Non posso dire molto, solo che ci sarà un docufilm. Qualcuno ha pensato che la mia vita lo meriti. Il trailer è già pronto», conclude.