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Roma
Roma, gli sgomberi sono un problema sociale non ordine pubblico. L'appello

di Andrea Catarci * 

Incubo sgomberi, un appello al nuovo prefetto Matteo Piantedosi: non confonda ordine pubblico e questione sociale, sull’abitare serve la politica e la mediazione .

A seguito del pensionamento di Gerarda Pantalone è stato chiamato al vertice dell’ordine pubblico e al coordinamento delle forze di polizia Matteo Piantedosi, nell’immediata vigilia della campagna elettorale per le amministrative del 2021.

Già capo di gabinetto del Ministero dell’Interno guidato da Salvini, con cui ha gestito la linea dura voluta contro gli sbarchi, è stato confermato dall’attuale ministra Lamorgese, nel periodo delle circolari restrittive dell’emergenza covid19 e nelle frequenti polemiche scatenate dal perdurare di blocchi e ritardi nel soccorso di persone in mare. Ha un compito particolarmente delicato, viste le precarie condizioni di salute della Capitale sotto diversi punti di vista – sociale, economico, culturale e con riferimento alla convivenza civile – e il potere consistente che è chiamato a esercitare, dopo l’ampliamento della sfera d’azione delle prefetture e il riconoscimento della possibilità di surrogare completamente i sindaci: tenere presente la complessità, puntare su equilibrio e mediazione, distinguere le problematiche di ordine socio-economico e politico da quelle in cui si rendono necessari interventi polizieschi.

Se la biografia degli individui è un elemento importante, il giudizio andrà espresso sul merito. Certo che a guardare i complimenti ricevuti dalle destre e le prime uscite sulle priorità, non si può dire che il nuovo prefetto sia partito con il piede giusto. Si riaffaccia la consueta confusione tra sfera sociale e dimensione poliziesca. Infatti, nell’elenco diffuso a mezzo stampa si mettono in fila tre obiettivi “asimmetrici”: la lotta all’usura, il contrasto alla penetrazione delle mafie e l’attuazione del piano sgomberi in tema di immobili occupati. Solo che se nei primi due fenomeni c’è chi guadagna sulla sofferenza di persone in difficoltà - spesso artigiani, imprenditori e commercianti ancora più provati dopo la pandemia -, o sui lucrosi traffici di sostanze stupefacenti e di corpi umani, o sul riciclaggio di imponenti somme di denaro attraverso la gestione di attività economiche, nel terzo caso ci sono decine di migliaia di famiglie e singoli individui in stato di emergenza o di disagio grave.

Nelle più recenti stime del Campidoglio sono rispettivamente 15.000 e 57.000 nuclei: spetterebbe loro una casa popolare che non c’è e significativi interventi di sostegno - altrettanto inesistenti - al posto delle risibili misure come i bonus affitti. Con noncuranza di tutto ciò, non senza richiamare la sacralità della proprietà privata a dare maggior enfasi, si sono ufficializzati i prossimi interventi, con l’assicurazione a proprietà spesso tracotanti e inadempienti che le regole attuali anti covid non costituiranno un ostacolo. Allo stesso modo si prospetta la medesima e logora ricetta basata su “ordine e disciplina” anche per i campi rom, prefigurando l’impiego dell’esercito e rinunciando a un’idea di relazione improntata alla responsabilità di tutti i soggetti.

Più delle occupazioni generano problemi gli immobili abbandonati dalle proprietà

Viviamo nella città più bella del mondo che all’estero continua a essere considerata un’unicità, caput mundi, città eterna e triplice capitale, della Repubblica italiana, del cattolicesimo e dei beni artistici e culturali. In essa centinaia di immobili pubblici e privati sono abbandonati al loro destino e causano disagio nei quartieri, molto di più di quanto non lo producano gli spazi a cui è stata restituita una funzione sociale, con il recupero e i lavori in proprio oltre che con l’iniziale riappropriazione attraverso le occupazioni. Un censimento della stessa prefettura di qualche tempo fa ha registrato l’esistenza di 161 immobili “dimenticati” dalle proprietà, posti sotto la vigilanza, onerosa, della polizia. Sono vecchi capannoni, negozi, scuole, cinema, teatri, garage, appartenenti per il 36% a Roma Capitale, per il 13% ad altri enti, per il 33% a privati e per il 18% a sconosciuti. Quindi per il 49%, un’ottantina di casi, sono pubblici. Perché non si parte da essi? Con assegnazioni e bandi - a scopi abitativi, culturali e sociali – possono trasformarsi da zavorra a opportunità, coinvolgendo i cittadini fin dalla riqualificazione, interessando gli Enti municipali ai progetti di recupero, declinando finalmente nella direzione dell’interesse della collettività quella parola “rigenerazione” di cui tanto si abusa.

Il prefetto archivi le minacce e solleciti soluzioni reali sull’abitare

L’ex prefetta Pantalone aveva esordito con grande tolleranza verso le aggressioni e le intimidazioni perpetrate ai danni di famiglie di etnia rom a cui era stato assegnato un alloggio popolare; aveva poi assecondato il distacco della luce a Spin Time e lo sgombero delle 78 famiglie dell’ex scuola di via Cardinal Capranica per ripristinare una legalità beffarda e inumana. Viene ricordata come colei che proteggeva il “ribellismo” neofascista mentre muoveva una guerra sporca contro chi non ha una casa. Il dottor Piantedosi intende proseguirne le gesta e attaccare ancora le esperienze sociali e culturali che sono un argine al declino senza fine di Roma? Nel piano sgomberi ci sono occupazioni a scopo abitativo, centri sociali e luoghi diventati da anni eccellenze artistiche. La linea della repressione contro tale variegato mondo comporta uno scontro di cui faranno le spese comunque i nostri malmessi quartieri, sia laddove sono indisponibili a rinunciare alle isole di resistenza stratificate nella storia recente sia nei casi in cui li subiranno passivamente. Ci pensi bene il nuovo prefetto: ad ogni forzatura militare i problemi risulteranno ingigantiti e, oltre a quelle dei mandanti politici, a risaltare saranno proprio le sue responsabilità. Si fermi e pretenda un protagonismo positivo della politica.

* Andrea Catarci, coordinatore del Comitato scientifico di Liberare Roma

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