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Fisco e Dintorni
"Quella firma non è la mia!"
Dott.ssa Sara Fontò

La Corte D’Appello di Milano accoglie la querela di falso proposta dal contribuente il quale disconosce la firma rinvenuta sulla raccomandata A/R di un avviso di accertamento.

Nei giorni scorsi, mediante un articolo del Sole24ore, è stata segnalata una sentenza della Corte d’Appello di Milano (la n.1662/2020) con la quale i giudici milanesi hanno avuto modo di ribadire la necessarietà di dare avvio ad un autonomo giudizio di querela di falso ogniqualvolta si intenda contestare la veridicità della sottoscrizione di un atto pubblico.

Facendo un passo indietro, nel caso specifico la contribuente adiva il Giudice di pace impugnando l’estratto di ruolo di una cartella sostenendo la sua mancata notifica.

L’Amministrazione dal canto suo produceva prontamente in giudizio l’avviso di ricevimento della raccomandata sottoscritta dalla contribuente, con la quale sosteneva di aver correttamente notificato l’atto esattoriale. Tale sottoscrizione, tuttavia, era illeggibile e pertanto non veniva riconosciuta come propria dalla contribuente. Quest’ultima, dinanzi a tale difformità, proponeva dinanzi al Tribunale Civile di Milano querela di falso avverso tale raccomandata A/R, al fine di far accertare la falsità della firma.

 Il Tribunale, tuttavia, in primo grado rigettava la richiesta della contribuente che comunque non si dava per vinta e proponeva appello dinanzi alla Corte d’Appello di Milano.

A seguito dell’impugnazione della predetta sentenza, la Corte d’Appello meneghina ha ribaltato la sentenza di primo grado, evidenziando l’importanza della querela di falso per far disconoscere la firma sulle notifiche degli atti esattoriali e fiscali in genere. Nella motivazione della sentenza, infatti, i giudici specificano che, data la natura di atto pubblico delle raccomandate postali  (derivante dal fatto che viene posto in essere da un pubblico ufficiale nell’esercizio della propria attività, in questo caso dall’agente postale), viene richiamato proprio l’art. 221 c.p.c., ai sensi del quale  “La querela di falso si può proporre sia in via principale sia in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio sino a quando la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato”.

I giudici d’appello, dunque, oltre a ritenere del tutto ammissibile il ricorso, hanno accolto le richieste della contribuente e accertato la non riconducibilità della firma alla ricorrente, condannando anche gli enti al pagamento delle spese di lite.

Nelle stesse aule di giustizia del capoluogo lombardo, nel 2017 si teneva una situazione del tutto analoga: un rappresentante di una società, difeso dall’Avvocato Matteo Sances, impugnava due avvisi di accertamento intimanti il pagamento di decine di migliaia di euro sostenendo che non gli erano mai state notificate. Prendendo visione delle raccomandate prodotte in giudizio dal concessionario della riscossione e dalle poste, la società proponeva querela di falso avverso i due avvisi di ricevimento poiché le firme apposte indicavano falsamente la sottoscrizione del rappresentante legale.

Avvalendosi di un consulente tecnico d’ufficio (grafologo), il Tribunale di Milano con la sentenza n.7761/2017 (liberamente visibile su www.studiolegalesances.it  – sez. Documenti) accertava e dichiarava la falsità della firma in questione e dunque accoglieva il ricorso del contribuente, condannando l’ente della riscossione (allora Equitalia Nord Spa) e Poste Italiane al pagamento delle spese legali nonché a  quelle della perizia tecnica e grafologica.

Anche la Cassazione, con la sentenza n.4556/2020, di recente ha sottolineato la necessarietà del procedimento di querela di falso per la contestazione della firma apposta su di un avviso di ricevimento postale. La Suprema Corte invero sostiene che, qualora l’atto sia stato notificato presso l’indirizzo del destinatario ma venga apposta una firma illeggibile da una persona diversa dal destinatario, la notifica si ritiene valida fino querela di falso. Tale pronuncia si accoda ad un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. n.9962/10, n.29022/2017 e n.2482/2020) mediante cui gli Ermellini non hanno perso occasione ribadire la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento.

Tale procedimento, come già fatto presente, rappresenta l’unico strumento in grado di disconoscere l’imponente forza probatoria di cui sono caratterizzati tutti gli atti pubblici, proprio come nel caso di un avviso di ricevimento postale. Al contrario, un atto pubblico non contestato costituisce piena prova in giudizio.

Ma cosa si intende per “piena prova”?

È opportuno partire da una premessa: in sede di accertamento giudiziario, il giudice in linea generale è chiamato a valutare le prove avvalendosi del proprio libero e prudente apprezzamento, salvo che la legge non disponga diversamente (art. 116 c.p.c.).

Tale discrezionalità, invece, non può essere utilizzata dal giudice qualora sia chiamato a valutare la valenza probatoria di un atto pubblico prodotto da una delle parti processuali; in tal caso, la legge impone al giudice di considerare veritiero ciò che in esso è contenuto (data, dichiarazioni, circostanze, sottoscrizione ecc..) in quanto l’atto in questione è dotato di “pubblica fede” in forza della sua provenienza.

Dunque, qualora si voglia disconoscere la veridicità del contenuto di un atto pubblico, è necessario dare avvio ad un procedimento di querela di falso, non solo per contestare un avviso di ricevimento della cartella esattoriale, ma anche ad esempio per contestare la veridicità di un PVC redatto in seguito ad una verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza o dai funzionari di enti pubblici.

Il legislatore, prevedendo lo strumento dell’azione di querela di falso, fornisce a chi ne abbia interesse una valida “arma” per fronteggiare il potere probatorio di un atto pubblico.

 

Dott.ssa Sara Fontò

www.centrostudisances.it

 

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