Finanza
Banche cinesi non vulnerabili alla crisi finanziaria
Banche cinesi non vulnerabili alla crisi finanziaria
Le banche cinesi sono “in pretty good shape” secondo il noto esperto americano Nicholas Lardy, senior fellow al Peterson Institute for International Economics, e non vulnerabili a fronte di un’eventuale crisi finanziaria, nonostante un rapido aumento del debito societario nel Paese. "Mentre significa che i rischi finanziari sono chiaramente in aumento, è probabile che la Cina sia però ad anni di distanza da una potenziale crisi bancaria.” e prosegue “Una ragione fondamentale per questo giudizio è che mentre il rapporto tra debito e prodotto interno lordo (PIL) è piuttosto elevato, la Cina gode anche di un alto tasso di risparmio interno. Il livello del debito che un Paese può sostenere dipende in modo significativo dalla quota di risparmio interno del PIL."
“La Cina rimane un grande creditore netto verso il resto del mondo, la seconda più grande economia del mondo: non è esposta a una crisi finanziaria come quella avvenuta in Asia nel 1997 " ha detto “Le crisi bancarie iniziano quasi sempre con problemi relativi ai depositi, ma la banca centrale ha gli strumenti necessari per affrontarle. Ad esempio, il coefficiente di riserva obbligatoria imposto alle banche è attualmente il 17%. Le banche cinesi hanno un’esposizione di gran lunga minore di quella delle imprese statali (SOE) nel 1990. I prestiti alle imprese statali ora rappresentato solo il 30% di tutti i prestiti in renminbi”.
Il Fondo monetario internazionale (FMI) ha dichiarato in un rapporto diffuso lo scorso aprile che, data la politica della Cina e la continua forte crescita della sua economia, i rischi di potenziali perdite su prestiti bancari restano gestibili nonostante l'aumento dei rischi di debito societari. Comunque, per ridurre i rischi che si sono accumulati nel settore finanziario, Nicholas Lardy ha esortato le autorità cinesi a "muoversi in modo aggressivo per limitare il flusso di credito ad aziende cronicamente non redditizie, in gran parte di proprietà statale”, e a chiudere le cosiddette "società di zombie", che sopravvivono solo con l'aiuto di governo e banche. Misure che rientrano in un più ampio piano per ristrutturare e rilanciare la crescita dell'economia.
Secondo Guo Lingen, vicepresidente della China Banking Regulatory Commission (Cbrc), le banche dovrebbero incrementare i prestiti alle imprese emergenti e strategiche. Ha confermato, infatti, che crescono le sofferenze delle banche cinesi nel primo trimestre dell'anno: i non performing loan stanno aumentando dal momento che molti settori stanno risentendo degli effetti del rallentamento dell'economia. Tuttavia, ha assicurato, "la situazione è sotto controllo" e la Cbrc è impegnata a migliorare la regolamentazione in linea con il nuovo quadro macroeconomico. Alla fine del primo trimestre, il rapporto degli Npl cinesi rispetto al totale dei prestiti erogati si attestava all'1,75%, un livello più basso rispetto alla media internazionale, mentre il coefficiente di adeguatezza patrimoniale era pari al 13,37%.
Un elemento di disturbo nel valutare obiettivamente la situazione è costituito dal fatto che i prestiti bancari al settore corporate non sono stati l’unica fonte di indebitamento per le imprese cinesi: andrebbero considerati anche i prestiti erogati dal cosiddetto “settore bancario ombra” (Shadow Banking System), che in Cina è particolarmente attivo.
Paolo Brambilla
"While lending more to corporates unable
to pay interest and principal on previous loans means financial risks
are clearly rising, it is likely that China is years away from a
potential banking crisis, providing it with a window to slow the growth
of credit to a sustainable level," said Nicholas Lardy, a senior fellow
at the Peterson Institute for International Economics. "A key reason for
this judgment is that while the ratio of debt to gross domestic product
(GDP) is quite elevated, China also enjoys a high rate of national
savings. The level of debt a country can sustain depends significantly
on the share of domestic savings in GDP," Lardy, a leading expert on
China's economy, wrote in an analysis published on the Financial Times
website. As China's debt build-up is almost entirely in domestic
currency and China remains a large net creditor to the rest of the
world, the world's second-largest economy is "not vulnerable to a
financial crisis such as the one in Asia in 1997", he said. Lardy noted
that banking crises almost always begin with problems on the liability
side of bank balance sheets, but Chinese banks' liabilities are
overwhelmingly deposits, making potential bank runs less likely. "In any
case, the central bank has substantial tools to deal with potential bank
runs. For example, the required reserve ratio imposed on banks is
currently 17 percent. This could be cut with hugely positive effects on
bank liquidity," he said. Finally, Chinese banks have far less exposure
to poorly performing state-owned enterprises (SOEs) than in the 1990s.
Loans to SOEs now only accounted for 30 percent of all renminbi loans of
Chinese banks and other financial institutions, down from 62 percent in
the mid-1990s, according to the expert. The International Monetary Fund
(IMF) said in April in a report that given China's bank and policy
buffers and continued strong growth in the economy, the costs of
addressing potential losses on bank lending remain manageable despite
the rising corporate debt risks. To reduce the risks that are
accumulating in the financial sector, Lardy urged Chinese authorities to
"move aggressively to curtail the flow of credit to chronically
unprofitable, mostly state-owned corporates" and close down these
so-called "zombie companies," which only survive with aid from the
government and banks.