“Edoardo. L’intruso tra gli Agnelli”: l'anima dell'Avvocato nell'erede suicida

Affari dialoga con Marco Bernardini, giornalista e autore del ritratto esclusivo del primogenito di Gianni

di Eleonora Perego
Edoardo e Gianni Agnelli
Cronache

"Edoardo. L'intruso tra gli Agnelli". L'autore Marco Bernardini ad Affari: "L'Avvocato? Era un insensibile"

“La sua fotografia vera troppe volte filtrata e deformata dalla macchina della menzogna o anche soltanto dal pettegolezzo”. Stiamo parlando di Edoardo Agnelli, primogenito dell’Avvocato e protagonista del nuovo libro di Marco Bernardini, “Edoardo. L’intruso tra gli Agnelli”. Perché questo era, alla fine, Edoardo: non solo e non tanto l’erede designato per nascita di uno tra i più potenti uomini che hanno contribuito a fare dell’Italia una Nazione competitiva. Ma un “principe generoso e sfortunato”, ingenuo e tragico allo stesso tempo, che sognava una fabbrica illuminata e un potere basato sulla solidarietà. Ma in cui “crescono i semi del male di vivere. Fino a soffocarlo; fino a quel salto definitivo nel vuoto il 15 novembre 2000, l’atto più autopunitivo e ingiusto che potesse esistere".

Affari pubblica in anteprima la Premessa al libro, e dialoga proprio con Marco Bernardini, giornalista e scrittore di sport e non solo, autore televisivo per Sky e La7, che è stato legato da un’amicizia fraterna con Edoardo Agnelli.

Perché pubblicare un libro su Edoardo Agnelli a così tanti anni dalla morte? La sua storia non appartiene ormai al passato?

Per due motivi fondamentali. Il primo, la mia promessa ad Edoardo, con cui avevo un rapporto di amicizia autentica, fatto non solo di scambi e di regali sentiti, come il cofanetto di libri Sellerio che lui adorava. Una promessa nata quando mi pregò dicendo: “Se mai ti capitasse, racconta qualcosa di me”. Ma il vero scopo del libro è, soprattutto, rendere giustizia alla figura di Edoardo. Un personaggio malinteso anche dopo la sua morte così come non era stato compreso durante la sua breve vita. Quindici anni, dal giorno del suo ritorno in Italia dagli Stati Uniti, dove si era laureato, fino a quello dell’ultimo volo con destinazione paradiso, vissuti parallelamente e in maniera solidale al punto da provare la necessità irrefrenabile di raccontarlo per l’uomo che realmente era ed è stato. Oltre la siepe delle banalità e della superficialità di maniera. Lui con tutti suoi difetti perlopiù innocenti e carico di cose da donare, soprattutto ai fragili e ai dannati della Terra.

L’omaggio a un amico scomparso prematuramente, dunque? O c’è qualcosa di più, un valore di utilità sociale?

Posso dire che il libro è stato voluto non soltanto da chi scrive ma, ne sono assolutamente convinto, dallo stesso spirito guida di Edoardo che lo ha suggerito e per certi versi dettato. Edoardo, in effetti, era una specie di fantasma che aleggiava in modo anche abbastanza inquietante su una famiglia importante come quella degli Agnelli, una persona eccezionale ma al contempo tragica. Il mio non è il semplice ricordo di un amico: è la fotografia di un cognome pesante, ma anche del rapporto tra un padre e un figlio, indipendente dal cognome. E che spero presto divenga una biopic, genere cinematografico basato sulla ricostruzione della biografia di un personaggio realmente esistito, grazie al prezioso contributo del regista Mimmo Calopresti (che cura la Prefazione, ndr). 

E allora parliamo del rapporto tra Edoardo e l’Avvocato Agnelli...

Il vero pezzo mancante della vita di Edoardo era Gianni, il grande assente. Il rapporto con il padre era fortemente desiderato in modo quasi ossessivo, ossessionante e ossessionato da Edoardo, che adorava l’Avvocato non tanto in quanto padre, ma in quanto figura affascinante. E in effetti Gianni era un uomo che affascinava tutti, me compreso, era una figura di un’imponenza incredibile, ma anche di un’insensibilità emotiva estrema. Parliamoci chiaro, la sua era un’insensibilità emotiva, non empatica, perché l’Avvocato era di una simpatia incredibile. Ma non percepiva la sottigliezza delle cose, e soprattutto si rifiutava di accettare la figura di un figlio che bene o male non c’entrava nulla con la logica della famiglia in quanto tale. C’entrava con l’altra faccia dell’Avvocato, quella nascosta, che soltanto l’Avvocato conosceva di sé, facendogli dire talvolta: “Se io non fossi Gianni Agnelli sarei un vagabondo pirata corsaro su una barca”. Ecco, Edoardo era quello che non era riuscito, per fortuna sua, a essere Gianni Agnelli, era la la personificazione di quella parte dell’Avvocato che non riusciva a uscire.

Vuol dire che non ci sono mai stati episodi di affetto nei confronti del suo primogenito?

La prima e unica volta che Gianni si rivolge al figlio regalandogli parole di tenerezza è quando dice “Povero figlio mio” dopo aver saputo della sua morte. E quando, rivolto al fratello Umberto, aggiunge: “Non avrei mai immaginato potesse avere tanto coraggio”.

Perché coraggio? Si riferiva al gesto estremo di Edoardo?

È una domanda pesante, ma un gesto del genere è la summa di tantissime cose che si trovano a coagulare insieme nello stesso istante. E in quell’istante non manca più nulla. Il suo è sicuramente un gesto da protagonista, un urlo finale di protesta e di disperazione a invocare un mancato amore, per manifestare la sua esistenza. E gli si può rimproverare qualcosa in ciò?  Non è l’unico comunque ad aver manifestato insofferenza verso questa indifferenza e insensibilità dell’Avvocato. Anche Margherita.

La sorella, Margherita, ma soprattutto la madre, Marella Caracciolo, che ruolo hanno avuto nella vita di Edoardo?

Partiamo col dire che tutte le donne, in casa Agnelli, erano sempre un passo indietro agli uomini. Tutte, ad eccezione di Susanna, l’alter ego con gli attributi che l’Avvocato ascoltava. Tornando alla mamma di Edoardo, che dire? Non c’era mai, non ebbe mai un gesto amorevole nei confronti dei figli, pensava ai suoi – peraltro bellissimi – giardini. Nulla più. Edoardo e Margherita crebbero insieme alle tate. C’è un episodio simbolo: quando Edoardo era ragazzino, la tata gli disse che il padre sarebbe andato a prenderlo per vedere insieme la partita di calcio. Allora lui indossò la maglia della Juve e aspettò… Ma il giorno dopo si svegliò, ancora con indosso la maglia della Juve, senza che nessuno fosse arrivato.

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Una figura estremamente tormentata, quella di Edoardo. Possibile che in lui non vi fosse neppure uno spiraglio di luce?

C’erano eccome, in particolare il rapporto con il cugino. Se Giovannino (Giovanni Alberto, il figlio di Umberto che muore ucciso da un tumore fulminante al fegato ndr) fosse vivo anche Edoardo lo sarebbe. I due avevano stabilito un patto di sangue, di solidarietà e di aiuto eterni. Lui era l’unico ad aver intuito chi fosse Edoardo, il suo canone mentale, cosa cercava, e che lo scopo umano di Edoardo era quello di offrirsi anche agli altri, all’impegno sociale, all’impegno civile. Basti pensare che Villa Sole, dove lui viveva da solo ad appena un chilometro da Villa Frescot, alla morte di Edoardo venne trasformata da Margherita in una comunità residenziale per minori. E se Edoardo fosse ancora vivo, la storia di una famiglia intera, ma anche quella del loro impero, sarebbe completamente differente. Tanto per iniziare, la Fiat sarebbe un affare italiano. E gli Elkann non so che fine avrebbero fatto…

Che reazione ebbe Edoardo all’investitura di John Elkann, di fatto, alla guida dell’impero Agnelli?

Diede letteralmente di matto. Io ero presente: strappò le carte della rinuncia a determinati privilegi all’interno della cassaforte di famiglia. E li strappò davanti a Gabetti e al padre, mentre Margherita li firmò. Fu l’ultimo atto di un destino già segnato, e che Edoardo si rifiutò di scrivere.

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