Nomine, chi vince e chi perde: Donnarumma il grande sconfitto, Salvini al top

Giorgia Meloni meno "donna sola al comando" e più leader della squadra di governo. Vincono Scaroni e Cattaneo, male la presenza femminile

di Marco Scotti
Paolo Scaroni
Economia

Nomine, chi vince (e chi perde) la battaglia più lunga

“Non li hanno sentiti arrivare”. Così ieri sera una fonte di governo ad altissimi livelli scherzava commentando la partita appena conclusa delle nomine. E in effetti, nessuno si aspettava uno scossone così forte. Al mattino sembrava fatta per Stefano Donnarumma alla guida di Enel, con un presidente “light” ancora da individuare. A sera ci si è ritrovati con Flavio Cattaneo al timone e Paolo Scaroni come presidente. Un duo forte, decisionista, combattivo. Da questa contesa, lunghissima, iniziata alla fine dell’estate – quando, cioè, è stato chiaro che a vincere sarebbe stata la coalizione di centro-destra – e conclusasi al fotofinish ieri sera, escono vincitori e vinti. Ecco chi sono.

I vincitori

Matteo Salvini ottiene il massimo da questa partita. Ha sfruttato al meglio la rinnovata centralità della Lega dopo le elezioni in Friuli e ha così potuto picchiare i pugni sul tavolo e chiedere che non fosse solo Giorgia Meloni a dare le carte. E si prende in questo modo l’intera posta in Enel. Non va dimenticato, infatti, che Flavio Cattaneo era l’unico manager ospite alla festa a sorpresa per i 50 anni del leader della Lega. 

Paolo Scaroni è stato trattato per mesi come un...pacco postale. Tanto che ieri si è perfino detto che sarebbe divenuto presidente dell’azienda guidata da Matteo Del Fante. Invece no. Nonostante – si dice – il veto di Claudio Descalzi, alla fine l’ex amministratore delegato dell’Eni è approdato alla presidenza di Enel. E c’è da scommettere che il suo non sarà un ruolo di mera rappresentanza, un po’ come sta facendo con il Milan dove è lui in prima persona a dare le carte.

Vince anche Flavio Cattaneo che, smascherato da Affaritaliani a novembre del 2022, ha smentito per mesi, sempre meno convintamente. Ma chi l’ha incontrato nelle scorse settimane ha capito che stava bluffando. Conosceva a menadito i conti dell’azienda guidata da Francesco Starace e aveva già in mente come e dove intervenire per abbattere il debito. Con la pazza idea, in realtà mai smentita, di trovare il modo di fondersi con Eni e creare un gigante energetico da oltre 110 miliardi di capitalizzazione in Borsa e le spalle sufficientemente larghe per navigare i diversi business del comparto. Fantascienza? Anche pensare che potesse abbandonare il suo rifugio dorato tra Italo e il suo fondo d’investimento sembrava esserlo. Eppure… 

A proposito dell’azienda di treni: i cinque anni canonici che il fondo Gip si è dato per rientrare dell’investimento profuso scadono in estate. Anche in questo caso non è difficile pensare che i tempi siano maturi per una cessione, magari per una cifra vicina ai 5 miliardi. Cattaneo detiene il 7,7% dell’azienda insieme ai soci storici Luca Cordero di Montezemolo, Alberto Bombassei, Gianni Punzo, Isabella Serignoli e Pensinsula Capital. Calcolatrice alla mano, sarebbero circa 385 milioni di euro se la quota venisse venduta interamente. E a quel punto il neo amministratore delegato di Enel potrebbe dormire davvero tra due guanciali. 

I vinti

Stefano Antonio Donnarumma esce con le ossa rotte da questa partita. Sembrava dovesse diventare il capo di Enel, benedetto dalla premier. E invece si ritrova fuori anche da Terna, azienda che ha ben guidato per un triennio, e con uno “strapuntino” di scorta come Cdp Venture Capital. Un magro premio di consolazione. Oltretutto, andando in Via Goito esce anche dalla possibilità di guidare Cdp l’anno prossimo, a meno che questa decisione non sia un modo per svolgere un corso accelerato di finanza. Paga, forse, la sua eccessiva vicinanza al Movimento 5 Stelle, una "ferita" che nessuno, neanche la premier, è riuscita a sanare. D’altronde, i segnali che qualcosa fosse cambiato erano arrivati un mese fa, quando Donnarumma ha partecipato a un roadshow nel Regno Unito in cui già parlava da nuovo capo di Enel. Una mossa azzardata che non è piaciuta né agli investitori né, evidentemente, al governo.

Giorgia Meloni non esce sconfitta, ma fa un bel bagno di “realpolitik”. Per assurdo, la maggioranza è più forte ora di prima. Perché tutte le anime sono state rappresentate e non c’è più motivo di tensioni. Ora il terreno di scontro si sposterà probabilmente sulla Rai, dove la sostituzione di Carlo Fuortes dovrebbe tornare d’attualità a breve. Una Meloni quindi meno “donna sola al comando” e più leader di una squadra che sembra nuovamente compatta e pronta alle sfide che l’attendono. Soprattutto in Europa, con la "grana" Pnrr ancora tutta da risolvere. 

Escono sconfitte anche le donne. Intendiamoci: aver conferito l’incarico di amministratrice delegata di Terna a Giuseppina Di Foggia è un bel segnale, visto che è la prima volta che succede. Ma su dieci caselle “big” da riempire (cinque presidenze e cinque poltrone da AD) solo due finiscono alle donne, trattate ancora una volta più come panda da tutelare (“oh, come ci vorrebbe una femmina al comando”) che non come persone capaci. Per intenderci: nel 2014, l'allora governo Renzi è vero che non diede il bastone del comando a nessuna donna, ma consegnò tre presidenze (Marcegaglia, Todini, Grieco) a manager "rosa". Insomma, la via per la parità è ancora molto lunga. 

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