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L'avvocato del cuore
Vogliamo adottare un bambino, ma l'iter burocratico e l'emergenza Covid... Il parere dell'avvocato

“Caro Avvocato, è da un po’ di tempo che io e mio marito riflettiamo sull’idea di adottare un bambino, senza mai però approfondire l’argomento, spaventati dal lungo ed estenuante iter burocratico. Può rappresentarci brevemente l’attuale situazione delle adozioni, anche alla luce dell’emergenza sanitaria in corso?” 

«Diritto del minore ad una famiglia», cosi è intitolata la legge n. 184 del 1983 sulle adozioni. 

Ma a quale famiglia si allude? Il legislatore non ha mancato di specificarlo, laddove, all’articolo 1, considera come prioritario il diritto del minore di crescere nella propria famiglia, coerentemente con il tracciato dell’articolo 30 della Costituzione. Solo in subordine, qualora sia «privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi» (cioè sussista il c.d. stato di abbandono), l’adozione può avere luogo. 

È un diritto del minore: il fine principale dell’adozione (almeno nell’ordinamento giuridico italiano) è quello di tutelare il diritto del bambino ad avere una famiglia idonea a prendersi cura di lui, mentre è considerato secondario l’interesse degli aspiranti genitori, diversamente da quanto accadeva “alle origini” dell’istituto, pensato per assicurare una discendenza a chi non avesse figli. 

Queste sono le necessarie premesse dalle quali partire per affrontare, sia pur brevemente, il tema dell’adozione, l’importante funzione della quale deve essere ribadita con fermezza a quelle coppie che intendono intraprendere questo percorso, se non altro onde evitare che restino “sorprese o amareggiate”, una volta resesi conto delle “lungaggini burocratiche” e dei non banali sacrifici (anche economici) richiesti dall’iter dell’adozione. Ecco quindi una prima risposta a uno dei Suoi dubbi: la complessità della procedura di adozione (i tempi di attesa medi per le “internazionali” sono di 45 mesi) si spiega, in prima battuta, in ragione del fatto che è (o dovrebbe essere) finalizzata a tutelare l’interesse del minore a vivere in una famiglia che sia il più possibile idonea alle sue caratteristiche e alla sua personalità. 

Ma, a parte la necessità di scelte ponderate nel supremo benessere del bambino, è pur sempre vero che costi (eccessivi e non preventivabili) e tempistiche, ma anche l’aumento dell’età dei minori adottabili e di quelli con bisogni speciali, unitamente ai sospetti di legalità nelle procedure attuate in alcuni paesi esteri, hanno messo in crisi l’istituto dell’adozione, così come lo conosciamo. È di poche settimane fa la notizia del report della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) che, per il 2019, testimonia un ulteriore calo nel numero delle adozioni transfrontaliere rispetto all’anno precedente, addirittura dimezzate nell’arco di un quinquennio. Per non parlare di quelle nazionali, sature ormai da parecchio tempo. 

E, in questo, il coronavirus non ha colpe; semmai, oltre ad aver costretto molti nostri concittadini a trascorrere la quarantena all’estero, ad averne ritardato il rientro in patria e ad averne bloccato le pratiche, vi è da chiedersi se, piuttosto, la pandemia non abbia messo in serio pericolo il futuro stesso delle adozioni internazionali: paesi che chiudono, voli che non si sa quando riprenderanno, enti autorizzati a curare l’adozione che, senza i contributi delle coppie, rischiano seriamente di chiudere i battenti. Anche se, assicurano, le dichiarazioni di adottabilità per le pratiche già avviate dovrebbero essere esenti dalla sospensione dell’attività giudiziaria, a norma della lett. a), comma 3, art. 83 della Legge n. 27 del 2020, perlomeno quando dal ritardo può derivare un grave pregiudizio e, in genere, per quei procedimenti nei quali è urgente e indifferibile la tutela di diritti fondamentali della persona. Senza dimenticare che il lockdown ha probabilmente incrementato il numero dei minori vittime di maltrattamenti in famiglia, problema acuito dalla difficoltà dell’autorità di  accertare, in questo periodo, la situazione di abbandono o di inidoneità della famiglia, propedeutica all’adozione o all’affidamento. 

Covid o meno, bisognerà interrogarsi sulla opportunità di nuove forme di tutela dell’infanzia e di nuovi modi di intendere la genitorialità, a partire dalla c.d. adozione aperta, forma di adozione non espressamente contemplata (ma neppure vietata) dal diritto italiano e frutto di una limitata applicazione giurisprudenziale (in tal senso, da ultimo il Tribunale per i Minorenni di Piemonte e Valle d’Aosta 16 settembre 2019, n. 157). Tale fattispecie (ben nota nei paesi anglosassoni, meno in Italia) consiste nella possibilità di disporre l’adozione legittimante e, al tempo stesso, consentire il mantenimento dei legami con alcuni parenti di origine. 

La legge italiana sull’adozione (legittimante) prevede, invece, che il minore adottato assuma lo stato di figlio degli adottanti e che, di riflesso, cessino interamente i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine. Quella del legislatore italiano è una concezione dell'adozione, quale forma di tutela dell'infanzia, antitetica rispetto all'affido etero familiare: in questo, che ha come obiettivo il successivo reinserimento del minore in seno alla famiglia di origine, i rapporti con la famiglia non vengono interrotti. Contrariamente all'adozione, tuttavia, questo affido ha carattere temporaneo, malgrado la durata di molti superi abbondantemente i due anni immaginati dalla legge e, in alcuni casi, degeneri nei c.d. affidi sine die. 

A ogni modo, il sistema rigorosamente binario concepito dal legislatore non parrebbe accettare soluzioni intermedie, anche se negli ultimi anni si è fatta largo la tendenza, frutto di una nuova sensibilità, a tenere in considerazione soluzioni che non implichino la recisione di qualsiasi legame con la famiglia d’origine. 

* Studio Legale Bernardini de Pace 

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