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Lo sguardo libero
Caso Romano, se il cattolicesimo trans-culturale s'immedesima nel diverso
(fonte Lapresse)

È legittimo esprimere un’opinione sulla conversione all’Islam di Silvia Romano, la cooperante di 24 anni sequestrata in Africa per 18 mesi e liberata sabato scorso. Col massimo rispetto e senza offendere, perché è difficile immaginare cosa pensi e provi chi viene sequestrato da Al-Shabab, gruppo terroristico islamico affiliato ad Al Qaeda, i cui miliziani, possono uccidere con un colpo di pistola alla testa chi non è in grado di recitare il Corano a memoria.

Sarebbe stato un miracolo se Silvia Romano prima  del suo ritorno in Italia, si fosse tolta lo jilbab, l’abito tradizionale islamico delle donne somale e avesse detto: “L’ho fatto per non morire”. Così non è stato.  Stante la situazione attuale, Aisha (nuovo nome di Silvia Romano dopo la conversione, che fu della terza moglie di Maometto), perché non è detto che Silvia non cambi idea, la sua conversione – sempre che non sia semplicemente dettata dalla paura di morire - appare simbolica di quel cattolicesimo trans-culturale, irenico, incapace di distinguere il tutto dalla parte; che non vede le differenze, fa di tutto per capire il diverso al punto di immedesimarsi in lui. Una posizione ideologica. Non bisognerebbe mai dimenticare che l’Islam, giacché religione potenzialmente totalitaria, è avverso alla democrazia liberale, la civiltà superiore perché meno peggio delle altre – dal momento che consente di scegliere liberamente come vivere - e di tutti i regimi, totalitari appunto, che siano di destra, comunisti o religiosi.

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