Anche la pazienza di Mario Draghi ha un limite. Che, evidentemente, è stato duramente messo alla prova da questi tre mesi a Palazzo Chigi. Nei quali non c'è stato solo il cosiddetto rumore di fondo dei partiti che sostengono la maggioranza, tutti pronti - dall'una e dall'altra parte - a cavalcare le battaglie più care ai rispettivi elettorati e poi a intestarsi questa o quella misure approvata dal Consiglio dei ministri. Questa dinamica, scrive IlGiornale.it, il premier l'aveva ovviamente messa in conto ed era pronto a farsene carico. Poi, nel corso delle settimane, l'asticella si è andata spostando verso l'alto. Insomma, non più solo il bombardamento di Matteo Salvini sulle aperture e sui migranti. O il martellamento di Enrico Letta sulla Lega, con il neosegretario del Pd che ha deciso di puntare dritto sul leader del Carroccio per cercare di ravvivare il disilluso elettorato dem. Fin qui, infatti, saremmo fermi alle parole. Che, certo, pesano. Ma cambiano poco la sostanza delle cose.
Il passaggio al livello successivo c'è stato prima con la battaglia sul ddl Zan e poi con la campagna referendaria sulla giustizia, annunciata dall'inusuale ticket Radicali-Lega. Il primo sta infatti rischiando di intasare i lavori del Senato, la seconda potrebbe invece impattare sulle riforme della Giustizia di cui si sta occupando il Guardasigilli Marta Cartabia e che sono strategiche per portare a casa una tranche decisiva del Recovery plan. Ed è qui che sta il punto. Perché Draghi è convinto sia questa - insieme alla sfida sui vaccini - la partita chiave. E dunque il Parlamento deve approvare al più presto il Pnrr, cioè il documento con cui il governo spiega come intende spendere i finanziamenti che arriveranno dall'Unione europea. Di qui la scelta del capo dello Stato di convocare mercoledì scorso al Quirinale i presidenti delle Camere, Elisabetta Casellati e Roberto Fico. Con l'obiettivo di dare un messaggio inequivocabile: basta tatticismi e scontri, soprattutto se la ricaduta reale è quella di rischiare di ritardare i tempi - strettissimi - del Recovery plan. Insomma, una cosa è la propaganda, altra sono gli iter tecnici e legislativi da cui deriva l'effettiva realizzazione del Next Generation EU, il principale strumento comunitario per bilanciare la crisi economica provocata dalla pandemia e che per l'Italia vale ben 248 miliardi. Se la tempistica prevista non venisse rispettata dalle Camere, infatti, il rischio concreto è che i pagamenti da parte della Commissione Ue possano arrivare in ritardo. O, addirittura, non arrivare affatto.
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