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Costume
Scuola, l’utilità dei compiti delle vacanze… dati al professore

Di Annalisa Ghisalberti

Difficilmente sarete così fortunati da essere sfuggiti ad una qualunque conversazione sui compiti delle vacanze assegnati ai vostri figli, nipoti, vicini di ombrellone: “troppi”, “troppo noiosi”, “inutili”, “ripetitivi”, con le relative teorie che li accompagnano - “i compiti vanno svolti al mattino presto, quando si è ancora freschi”, oppure “dopo pranzo nelle ore più calde, in cui non si può uscire”, “una scuola che dà compiti è una scuola che non funziona” e via così. Più difficilmente, invece, vi sarete imbattuti in un discorso sui compiti delle vacanze assegnati dalla classe a un professore. A me, invece, è capitato spesso di chiedere e di ricevere compiti estivi da parte dei miei alunni.

In quel frangente fatidico tra la fine dell’obbligo e l’inizio della libertà che sono gli ultimi giorni di scuola, in cui la stanchezza cede il passo all’euforia e ci si convince che scenari inesplorati di felicità si dischiuderanno al suono dell’ultima campanella, assegnare i compiti alla classe può sembrare, a seconda dei punti di vista, accanimento, persecuzione o l’ultimo disperato tentativo di affermare la necessità dell’istituzione scuola, estendendone i confini spazio-temporali fuori dalla classe e dal calendario scolastico. Dal canto suo il professore elenca i compiti reputandoli misurati, piuttosto ben selezionati e si sforza di farne intendere il valore e il senso e, quanto più cerca di trovarlo, tanto più coglie sguardi perplessi che vedono gli scenari di un attimo prima come già stropicciati. Talvolta si tenta una sorta di razionalizzazione meritocratica: chi ha ottenuto un voto più alto avrà bisogno di un minor numero di esercizi come di minore allenamento, ma la logica retributiva aggrava il senso di frustrazione su chi, faticosamente arrivato alla soglia della sufficienza, perde d’un colpo l’ebbrezza della conquista e non basta a regalare leggerezza ai migliori.

Capita allora che si levi qualche voce coraggiosa: “E lei? Che compiti farà?” Una sfida da accogliere: “Quelli che mi darete voi”. Gli scenari di felicità tornano a distendersi e fanno da sfondo al gioco, al divertimento in cui si muovono e si rivelano anime diverse che, dopo i primi minuti di ostentata, costruita perfidia, superata la minaccia della via meritocratica per cui i compiti assegnati al “prof.” diminuirebbero al crescere delle sue valutazioni finali, sciolgono ogni dubbio e affidano come compito al docente di interessarsi a loro, di scoprire il loro mondo e, insieme, di mostrarsi umano, comprensibile, avvicinabile.

Anni fa dovetti leggere Tre metri sopra il cielo e solo il fatto che avessi attraversato i patimenti d’amore e la lotta contro le convenzioni di Babi e Step mi rese più credibile e mi tornò utile a ridestare l’attenzione delle anime più riottose quando si trattò di tradurre la compresenza di odio e amore in versi più riusciti, poi fu la volta dei primi grandi comici di Zelig, che ci convinsero al punto da diventare addirittura oggetto di analisi e ci accompagnarono nella lettura di Achille Campanile e di certo Calvino.

Quest’anno gli allievi sono molto giovani e le loro richieste aprono uno squarcio sulla preadolescenza, in tutta la sua ambiguità: giochi infantili e canzonette che vorrebbero essere di denuncia si alternano nell’elenco propostomi, come gli stati d’animo di questi ragazzini. Devo ascoltare Vorrei ma non posto e Andiamo a comandare, compito apparentemente facile – più difficile sarebbe stato non ascoltarle, vista la frequenza con cui sono mandate in onda -, ma che si fa improbo se la speranza è che io colga quel che significano per loro. Ci sono dei desideri, primo fra tutti quello di rivendicare il proprio diritto a desiderare, appunto, e a essere considerati, a … comandare: nulla di nuovo rispetto alle pretese di tante generazioni di adolescenti, ma anticipato agli 11-12 anni non sembra avere lo stesso valore, è un’adesione inconsapevole, forse puro divertissement o semplice bisogno di …cantare nel coro. Devo poi visitare uno stadio, principio di un vero e proprio percorso iniziatico voluto dalla componente maschile della classe che, compatta, punta a rivedere il calendario delle verifiche in relazione ai più importanti appuntamenti della stagione calcistica. Ad attestare lo svolgimento del compito mi si chiede un selfie, gesto icona delle vacanze e delle modalità di comunicazione, non solo dei più giovani, e compito esso stesso per la “prof.”, chiamata così a “condividere”.

Ci sono poi improbabili libri di dj, trascrizione di riflessioni, come post cartacei e alcuni film: c’è chi mi vuole spaventare con la prima versione di King Kong, forse contrappasso per il mio scansare i testi e le immagini più scabrose proposte dalla cronaca, c’è il Checco Zalone di Quo vado perché la risata dell’insegnante regala la speranza che il suo obiettivo ultimo possa anche non essere la sofferenza degli alunni e, con ciò, del mondo intero, ma anche Cime tempestose, timida proposta in fondo al foglio, di chi la sintonia l’ha già conquistata.

C’è la richiesta, insomma, e insieme il gusto di far conoscere il proprio mondo, di farmi entrare perché un insegnante che sa che cosa vedono, leggono, ascoltano i suoi alunni si può sperare sia un insegnante che capisce che cosa pensano e desiderano, che proporrà loro di imparare qualcosa perché avrà pensato che abbia un senso per loro e che si sforzerà anche di capire quale sia il modo più opportuno, facile, proficuo per farlo. Perché si è dato la pena di seguire le loro indicazioni, perché ha fatto i compiti.

 

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