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Credibilità delle politiche monetarie

Nel luglio del 2012 Mario Draghi pronunciò le famose parole, “whatever it takes”, che – di fatto – salvarono l'unione monetaria dalla sua disgregazione. Pochi giorni fa Draghi ha annunciato un nuovo piano di stimoli economici che i giornali hanno ribattezzato il nuovo “bazooka di Draghi”. Piano molto gradito ai mercati che lo hanno festeggiato con giornate molto positive.
Sono ormai molti anni che le banche centrali vanno avanti con politiche di allentamento monetario. La FED ha intrapreso una fase di “normalizzazione” delle politiche monetarie, anche se in modo molto lento e molto discusso. Inizialmente le voci discordanti erano veramente poche ed isolate. Recentemente si stanno facendo sempre più convincenti, anche alla luce degli oggettivi problemi che stanno creando. Si può discutere se questi problemi siano o meno inferiori rispetto a quelli che vi sarebbero stati in assenza di queste decisioni, ma non si può discutere sul fatto che la politica di inondare i mercati finanziari di denaro ha creato forti distorsioni e una serie di “trappole” dalle quali sarà difficile uscire.

Recentemente anche Claudio Borio, Capo del Dipartimento monetario ed economico della BIS, la Bank of International Settlements, cioè la banca che coordina l'operato delle varie banche centrali del mondo, ha indicato come la politica del denaro facile abbia fatto aumentare in modo significativo i debiti (pubblici e privati), in particolare nei paesi emergenti, e finisca col minare la crescita della produttività.

Scrive Borio: “questo aumento è spesso accompagnato da un forte rialzo dei prezzi immobiliari in un contesto di aggressiva assunzione di rischio, fattori che ricordano in modo inquietante i boom finanziari osservati nelle economie colpite successivamente dalla crisi” ed ancora “secondo una recente ricerca BIS, i boom del credito minano la crescita della produttività man mano che aumentano di vigore, prevalentemente perché destinano risorse ai settori sbagliati. L’impatto di queste allocazioni errate perdura nel tempo e si intensifica allo scoppio di una crisi finanziaria. A sua volta, una minore produttività rende più difficile sostenere gli oneri debitori. Per metterla in altri termini, quelli che vediamo potrebbero non essere fulmini isolati, bensì i segnali di una tempesta vicina, che si sta preparando da molto tempo” e conclude: “Le recenti turbolenze hanno mostrato chiaramente che le banche centrali, dopo la crisi, sono state gravate per un tempo troppo lungo di un fardello eccessivo, proprio nel momento in cui si sono ridotti gli spazi per politiche di bilancio e c'è stata carenza di misure strutturali. Malgrado condizioni monetarie eccezionalmente espansive, la crescita nelle giurisdizioni più importanti è stata deludente e l’inflazione è rimasta persistentemente bassa. Gli operatori di mercato ne hanno preso atto e la loro fiducia nei poteri curativi delle banche centrali – probabilmente per la prima volta – vacilla.”

Alessandro Pedone di ADUC, una delle più attive associazioni a tutela dei risparmiatori, afferma: "Da aprile 2015 i mercati azionari sono entrati in una fase negativa (bear market) che ha visto più ondate discendenti e fasi di recupero. Il primo scricchiolio, pesante, si ebbe nelle due settimane fra la fine di giugno e l'inizio di luglio 2015. Una discesa piuttosto violenta che vide però un pronto recupero, sebbene – come è logico in una fase discendente, ma allora non si sapeva che lo fosse – il recupero non fu completo. A metà agosto inizia una nuova tempesta nei mercati azionari che durerà più tempo, fino a tutto settembre. Ancora una volta, il recupero – che durerà due mesi esatti, fino a tutto novembre – non riporterà gli indici azionari ai valori del 10 agosto (picco del recupero precedente). Ad inizio dicembre 2015 inizia una nuova ondata di vendite che termina l'11 febbraio scorso. Questa è la più violenta e prolungata – fino ad oggi – delle fasi discendenti di questo bear market. Attualmente siamo in una terza fase di recupero che dura da oltre un mese. Basteranno le parole di Mario Draghi per invertire definitivamente la rotta?”

In primo luogo bisogna dire che gli strumenti della BCE sono senza alcun dubbio sufficienti a fugare ogni dubbio sulla possibilità tecnica di mantenere l'unione monetaria “a qualsiasi costo” (whatever it takes), ma ben diverso è il discorso se parliamo di ottenere specifici obiettivi di politica economica come il raggiungimento di certi livelli d'inflazione. Abbiamo visto che se la BCE è certamente in grado di salvare le banche o gli Stati membri (acquistando le loro obbligazioni) è stata pesantemente inefficace nel controllare l'inflazione. L'obiettivo di un'inflazione vicina al 2% è stato gravemente mancato.

Paolo Brambilla