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Antonio Ingroia svela: "Accordo Stato-mafia sul covo di Riina"
La versione dell'ex magistrato antimafia in un libro scritto con Massimo Giletti dal titolo eloquente "Traditi"

Mafia, il retroscena sulla cattura di Riina e il covo "protetto"
Uno dei tanti misteri che ruota intorno alla cattura di Totò Riina è legato al suo famoso covo, mai perquisito. Il boss corleonese, fu arrestato il 15 gennaio 1993 ma nessuno entrò mai in quello che era considerato il suo nascondiglio, per questo motivo venne fatto addirittura un processo ma la verità su quella mancata perquisizione non venne mai a galla. Ora su quell'episodio è uscito un libro dal titolo emblematico "Traditi", scritto dall'ex magistrato antimafia Antonio Ingroia e dal giornalista Masssimo Giletti. "Penso - sostiene Ingroia e lo riporta Il fatto Quotidiano - che sia stata una cordata interna a Cosa Nostra ad aver tradito Riina, una cordata che coinvolgeva i fratelli Graviano e Bernardo Provenzano, che aveva fatto pervenire al maresciallo Antonino Lombardo una soffiata decisiva per l’individuazione del covo di Riina".
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"Lombardo, pochi anni dopo l’arresto di Riina - prosegue Ingroia - verrà ritrovato morto all’interno di una caserma dei carabinieri di Palermo, in circostanze estremamente sospette, per un colpo d’arma da fuoco, che – secondo la versione ufficiale – si sarebbe sparato da solo. Un suicidio misterioso cui si aggiunge la sua lettera-testamento – ma secondo una perizia la grafia in una parte della lettera non sarebbe la sua... – che era soprattutto un atto d’accusa nei confronti dei suoi superiori e dove si faceva anche riferimento al suo contributo per l’arresto di Riina. Ebbene, se mettiamo insieme tutti questi tasselli, e altri ancora, è più che legittimo pensare che Riina venne consegnato allo Stato dai traditori interni a Cosa Nostra che volevano liberarsi di un uomo ingombrante".
Tante le ipotesi, ma una, forse anche la più banale, potrebbe essere quella vera. "Riina stava portando fino alle estreme conseguenze un conflitto aperto contro le istituzioni che Cosa Nostra non poteva reggere, e quindi gli altri capimafia hanno compreso che l’unica via d'uscita era di consegnarlo allo Stato come capro espiatorio per avviare un percorso nuovo di sopravvivenza di Cosa Nostra, che altrimenti sarebbe stata distrutta".