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Cronache
Via D'Amelio fu un delitto mafioso. Giudici: "Trattativa? Nessuna prova"

La strage di via d’Amelio rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto ad una precisa strategia del terrore adottata da Cosa nostra, in quanto stretta dalla paura e dai fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il Maxiprocesso (nato anche, da una felice intuizione dei giudici Falcone e Borsellino)”. E’ quanto scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta nelle 377 pagine delle motivazioni della sentenza del Borsellino quater. “Ogni tentativo della difesa di attribuire una diversa paternità a tale insana scelta di morte e di terrore non può trovare accoglimento, potendo, al più, le emergenze probatorie indurre a ritenere che possano esservi stati anche altri soggetti, o gruppi di potere, interessati all’eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta. Ma tutto ciò non esclude la responsabilità principale degli uomini di vertice dell’organizzazione mafiosa che, attraverso il loro consenso tacito in seno agli organismi deliberativi della medesima organizzazione, hanno dato causa agli eventi di cui si discute”.

“Nel corso del dibattimento di primo grado sono stati escussi numerosi testimoni i quali hanno riferito in ordine ai contatti che alcuni esponenti delle forze dell’ordine avrebbero tentato di allacciare con esponenti dell’organizzazione criminale Cosa Nostra dopo l’avvio della stagione delle stragi, dopo la morte del giudice Giovanni Falcone. Ma non sussiste in atti alcuna evidenza probatoria che consenta di ricollegare la 'trattativa' che si stava avviando, fra alcuni esponenti delle istituzioni ed altri rappresentanti dell’organizzazione criminale, con la deliberazione della strage di via D'Amelio”. 

“Si tratta, peraltro - proseguono i giudici - di emergenze che in parte erano state acquisite nell’ambito del procedimento Borsellino ter e già nell’ambito del procedimento Borsellino bis, in relazione alle dichiarazioni rese sul punto dal collaboratore di giustizia Brusca Giovanni, il quale aveva riferito di avere saputo da Riina che il medesimo aveva avuto contatti con esponenti del mondo politico istituzionale in relazione al cosiddetto 'papello', ovvero ad una serie di richieste concernenti l'eliminazione di misure drastiche adottate nei confronti dei condannati per mafia ritenute troppo dure, venendo successivamente a sapere da Riina che le suddette richieste erano state, tuttavia, respinte in quanto 'troppo esose'. Era stata compiuta la strage di via D'Amelio e Riina - spiegano i giudici - gli aveva detto, a questo punto, che sarebbe stato necessario 'un altro colpetto', proponendo l’eliminazione del dott. Piero Grasso, giudice a latere nel Maxiprocesso. Secondo le indicazioni del collaboratore Brusca i personaggi di cui Riina non aveva voluto fare i nomi sarebbero stati il Colonnello Mori ed il Capitano De Donno”. 

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