"Colpito a 70 metri dalla trincea. Io, sopravvissuto ai cecchini Isis"
ESCLUSIVO/ Gabriele Micalizzi si racconta. Videoreportage
Videoreportage di Claudio Bernieri
Stati generali dei reporter di guerra sui Navigli a Milano, in zona movida. Qui il fotografo di guerra Gabriele Micalizzi, sopravvissuto a un razzo sparato dall’Isis in Siria, e salvato dalla cecità da una macchina fotografica Leica, ha presentato la sua drammatica storia in un fumetto.
E’ una insolita grafic novel, dove fotografia, sogni, reportage, video e disegni si interfacciano in un libro multimediale, rivolto si giovanissimi.
Grande affollamento, virus permettendo, e la classica fila di lettori desiderosi di un autografo dal reporter eroe.
Ma come è cambiata questa professione, in bilico tra romanticismo e le spese di gestione un inviato al fronte?
Mentre la fila dei fan di Micalizzi si allungava, abbiamo chiesto a Fausto Biloslavo, il papà di questa collana di fumetti multimediali di elevata fattura artistica, che pubblica storie di guerra di dirci qualcosa di più.
Dalla vicina discoteca i decibel si martellano; ecco un altro celebre inviato, Tony Capuozzo che ci racconta con amarezza la fine annunciata del mestiere.
Ed ecco infine il clou della serata, presenta Biloslavo: Micalizzi, ristabilito dopo lunghe cure, spiega ad Affari come arrivò a 70 metri da una trincea dell’isis e venne colpito.
E’ il più temerario fotoreporter pronto schivare tutte le pallottole del diavolo, dicono di lui i giornali inglesi e americani, che se ne intendono di inviati di guerra.
Salvato dalla sua fedele Leica che ha deviato le schegge di un proiettile RPG, ora Gabriele Micalizzi, miracolato , è pronto a ripartire per il mondo in fiamme, un mezzo dito tranciato e un giubbotto antiproiettile sfasciato.
Le sue foto sono state pubblicate sul New York Times, sul New Yorker, su Newsweek, sul Wall Street Journal. Quando venne ferito in Siria, Micalizzi stava lavorando per La Stampa, seguendo l’ultima offensiva dei curdi contro l’ISIS: da Sirte a Kobane, dal Donbass ad Atene fino a Il Cairo, Gabriele ha raccontato in questi anni i più importanti scenari di crisi, affermandosi come uno dei principali fotoreporter italiani.
“Non si muore di lunedì” è ora il titolo di una splendida grafic novel, che le edizioni Signs Books “sparano” in libreria celebrando il fotoreporter che da anni, sui palcoscenici dell’orrore , tra lanciarazzi ,cadaveri, pallottole vaganti, cecchini ,combattenti in mimetica e casse diroccate, fotografa con le sue Leica la morte: per regalarci alla fine una immagine che dice molto di più di un reportage visto in televisione tra due spot pubblicitari ( TV che ci sazia ma non ci fa riflettere, dice Tony Capuozzo), Ritrattista della guerra per scelta, ultimo romantico tra gli inviati di guerra, Micalizzi ha rischiato la pelle fotografando l’ultima roccaforte dell’Isis in Siria, nel febbraio del ’19, a Bashuz al confine con l’Iraq. 1500 combattenti dell’Isis asserragliati con le loro famiglie nei tunnel scavati intorno alla cittadina, circondata dai curdi. A 100 metri la bandiera nera dell’Isis. Micalizzi punta la sua Leica da un terrazzo, ma gli arriva dritto un razzo jahidista e l’onda d’urto scaraventa Micalizzi in un angolo buio, tra polvere e sangue. Un curdo seccato per terra.
Dato per morto, Gabriele si riprende, stordito.. “Fottuti entrambi gli occhi” gli dice un militare inglese trasportandolo nelle retrovie : poi in elicottero a Bagdad.
Qui, sul lettino dell’ospedale americano, realizza infine quanto ha rischiato per una foto:
un razzo RPG, esploso a pochissima distanza, ha colpito il fotografo, un soldato e un comandante dell’offensiva contro l’ISIS; ma proprio nel momento dell’esplosione l’utilizzo della Leica ha “salvato” gli occhi del fotografo, evitando danni ulteriori e peggiori rispetto la lesione al nervo ottico dell’occhio sinistro. “Le protezioni, che bisogna sempre avere in prima linea, mi hanno salvato la vita- ora racconta ad Affari- Non solo: la Leica, che stavo usando per le foto, mi ha riparato la faccia salvandomi gli occhi dalle schegge”
A Bagdad,sempre cosciente, si addormenta solo in sala operatoria.
Si risveglia dopo una lunga operazione nell’ospedale militare americano, dove gli tolgono le schegge negli occhi tumefatti : ecco infine una voce di donna, è Roberta, della Marina Militare italiana che merge dal nirvana chimico. Al suo fianco, lo vegliano alcuni membri delle forze speciali italiane presenti in Iraq.. Un volo di stato lo riporta per ulteriori cure in Italia.
Diagnosi: amputazione di due falangi della mano destra, frattura del braccio sinistro e compromissione dell’udito dalla parte sinistra. La conseguenza più grave riguarda la lesione al nervo ottico dell’occhio sinistro per il quale le cure proseguiranno all’Ospedale San Raffaele di Milano.
Eccolo ora, rimesso a nuovo, sui Navigli a presentare il suo libro, illustrato magistralmente dalla disegnatrice Elena Cesana, della Sergio Bonelli Editore. Un volume insolito, dove le fotografie di Micalizzi si interfacciano nel fumetto: un esperimento multimediale. “Inquadrando alcune pagine con il telefonino,ci spiega il reporter di guerra Fausto Biloslavo che cura la collana di questi reportage d’autore “ il lettore può visionare le fotografie che hanno ispirato il disegno: fumetto, reportage, fotografia si interfacciano. Un modo accattivante per avvicinarci ai giovani“. “Un giorno mi restituiscono in Italia il giubbotto anti proiettile e la giacca, entrambi sfilacciate- ci racconta ancora Micalizzi - In una tasca ritrovo una carta che avevo raccolto per strada in Iraq. Un jolly .Mi ha portato fortuna. Non sono superstizioso, ma…”. Sorride.
“Ho sempre raccolto le carte da gioco da terra. L’ho sempre fatto, sin da ragazzo. Da quando vado in guerra, poi, ne trovo molte di più. Perché in guerra si gioca di brutto a carte. E più ci fai caso, più ne trovi. Più le cerchi, più ne vedi.
Un segno del destino “Ma alla fine noi torniamo sempre là, col pensiero, sui fronti caldi, è là la nostra vita, dove scorre l’adrenalina. Sì, noi reporter di guerra facciamo una vita da supereroi, ma forse i veri eroi sono i nostri familiari, che ci aspettano in silenzio a casa”.
Gabriele saluta il suo pubblico che lo venera già come una rock star, nello spazio Ride, sul Navigli della movida. “La morte è proprio una rottura di palle” dice firmando le prime copie del suo racconto a fumetti.
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